Napalm Death - Throes of Joy in the Jaws of Defeatism

Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2020
Durata:42 min.
Etichetta:Century Media Records

Tracklist

  1. FUCK THE FACTOID
  2. BACKLASH JUST BECAUSE
  3. THAT CURSE OF BEING IN THRALL
  4. CONTAGION
  5. JOIE DE NE PAS VIVRE
  6. INVIGORATING CLUTCH
  7. ZERO GRAVITAS CHAMBER
  8. FLUXING OF THE MUSCLE
  9. AMORAL
  10. THROES OF JOY IN THE JAWS OF DEFEATISM
  11. ACTING IN GOUGED FAITH
  12. A BELLYFUL OF SALT AND SPLEEN

Line up

  • Shane Embury: Bass
  • Mark "Barney" Greenway: Vocals
  • Mitch Harris: Guitars, Vocals
  • Danny Herrera: Drums

Voto medio utenti

Personalmente mi trovo spesso in difficoltà nello scrivere una recensione riguardante i Napalm Death. Parliamo di un gruppo fondamentale della storia della nostra musica, di una band che ha attraversato i decenni – a proposito nel 2021 sarà il quarantennale del loro primo demo “Halloween” e della loro prima composizione “Punk is a rotting corpse” – e vedendo nascere, diffondere e crescere i germi della musica più estrema.

Una band dalla storia inquieta, capace di sperimentare e di osare, ma anche in grado di guardare al proprio passato attualizzandolo, sempre attenta e critica alle piccole e grandi ingiustizie sociali fin dalla sua fondazione.
Giunti al sedicesimo album in studio – per non tacere della miriade di uscite in 7” e collaborazioni varie che hanno scandito lo scorrere degli anni - quali sorprese si deve aspettare nel 2020 un estimatore del quartetto inglese?

Mi vien da dire: “spero nessuna sorpresa!”
Quello che si “richiede” alla band di Birmingham è coerenza+violenza sonora e sotto questo aspetto i Napalm Death sono una indiscutibile garanzia assoluta. Preceduto dall’uscita dei singoli “Amoral” e “A bellyful of salt and spleen”- canzoni che mi avevano fatto pensare ad un ritorno in auge delle sonorità contaminate del periodo “Inside torna part” per intenderci - “Thores of joy in the jaws of defeatism” prevalentemente si muove su sonorità più vicine ai suoi “fratelli” usciti da “Time waits for no slave” ad oggi.

Si parte col botto con “Fuck the factoid”, brano imperioso (e uno dei migliori del lotto) che ci introduce un disco nervoso, arrabbiato che sfodera subito le sue armi migliori per prendere l’ascoltatore alla gola – “That curse of being a thrall” è uno dei brani migliori composti negli ultimi anni dalla Morte al Napalm – senza però accantonare l’anima groove (v. “Zero gravitas chamber”, la stessa “Amoral”), l’amore per l’inserimento di elementi dissonanti (v. “Contagion” ma soprattutto “Invigorating clutch”) o meri excursus sonori (purtroppo la poco convincente “Joie de ne pas vivre”) e le contaminazioni già dette in precedenza.

Forti della consapevolezza di non dover più dimostrare nulla a nessuno, I Napalm Death possono permettersi di realizzare – anzi si sono permessi di realizzare - un disco sfaccettato e in discreta misura eterogeneo, facendo confluire in “Thores of joy in the jaws of defeatism” la summa delle esperienze accumulate nel corso della propria carriera.

Così, dopo quasi quarantatré minuti di turbinio passato in compagnia dei Napalm Death, in testa un pensiero mi resta un solo pensiero: per i signori Greenway/Embury/Harris/Herrera è ancora molto lontano il momento di godersi la meritata pensione, c’è ancora bisogno di loro.

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