Dopo solo un anno dal primo capitolo di questa quadrilogia interessante a livello concettuale, tornano i canadesi
Panzerfaust.
I black metallers sotto l’egida della fida
Eisenwald pubblicano il secondo atto di questa opera musicale, che racconta attraverso riflessioni filosofiche gli atti più malvagi e generatori di morte del secolo breve.
Un lavoro enorme, non solo a livello musicale, ma soprattutto lirico; eppure questo nuovo album è denso di emotività sotto una coltre maligna di metal estremo in soli cinque brani.
Il disco si apre con “
Promethean fire”, lunga composizione che dura dieci minuti e nonostante la lunghezza riesce a mantenere viva l’attenzione.
Partenza soffusa che cresce piano piano e che comunica disagio; apertura affidata ad un riff denso e maligno che si fa largo tra rullate spesse con uno screaming doloroso e feroce facendosi largo seguìto da un umore nero.
Qui abbiamo anche la partecipazione speciale di
Maria “Masha” Akhipova degli
Arkona autrice anche del testo.
“
The faustian pact” è velenosa, con percussioni che si stagliano, riff malsani e nerissimi uniti allo screaming sporco e maligno ad annegare il tutto in un magma ribollente odio.
All’interno ci sono scossoni in blast beats con chitarre livide e il tutto corredato da una superba prova tecnica della sezione ritmica che cambia tempo ma non cede di un passo; le chitarre confezionano riffing che bruciano le orecchie.
“
Aeropagitica”, è un mid tempo con una sorta di epicità tragica, dolorosa e carica di drammaticità; le chitarre hanno una certa connotazione black/death e la batteria non lesina nell’assalto ritmico.
Il dualismo vocale growl/scream è preciso e non lascia prigionieri; bellissima la parte centrale in rallentamento dove un riff metallico e sulfureo detta legge.
L’ultimo brano “
Pascal’s wager” ha anche un sapore prog intinto nel metal estremo, basta sentire il riff iniziale nelle spirali percussive; la sezione ritmica è precisa, il basso si snoda come spire di un serpente mentre i riff sono brucianti nell’attacco in blast beats.
Brano quasi lasciato tutto agli strumenti tranne una breve parentesi in screaming; la materia è fusa, il black metal della band canadese si stempera sul finale acustico ma emotivamente collegato.
Un disco del genere non è assolutamente da farsi scappare; non solo per la qualità della proposta, ma perché i nostri sono un gradino sopra ad altre uscite ben più blasonate; qui non c’è speranza, ma solo eterna distruzione.
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