Al terzo
full-length i
Methodica non si possono più “nascondere”, o meglio sono tutti gli estimatori del
prog-metal che dovrebbero scoprire e sostenere questa fulgida realtà italica di un genere diventato troppo spesso logorroico e autocelebrativo.
Ascoltare “
Clockworks” significa immergersi in una confluenza di suoni intensi e nervosi, che rimandano alla storia del
metallo progressivo attraverso un percorso di metabolizzazione profondo e fascinoso, concretizzato nella poliedricità di dieci brani capaci di nascere e svilupparsi dal primo all'ultimo respiro, per poi esaurirsi in maniera assolutamente “spontanea”, lontanissimi dalle tante forzature del tecnicismo esasperato o dell’ermetismo fine a se stesso.
Proprio come nella vita, nel disco l’amore, il dolore, la disillusione e la speranza s’intersecano in maniera spesso imprevedibile, pur mantenendo come “stella polare” la logica, a volte enigmatica e oscura ma in ultima analisi, sempre percepibile.
Ne scaturisce un
sound denso, avvolgente, sospeso, edificato sulla potenza delle chitarre e sul muro delle ritmiche, e in cui l’uso dell’elettronica diventa copioso e tuttavia non fastidiosamente invadente, abilmente coordinato da una spiccata sensibilità espressiva.
In questo modo, la lezione di Pain Of Salvation, Fates Warning, Psychotic Waltz e Porcupine Tree, si screzia del barocchismo esistenziale dei Muse e della
rock-wave dei Simple Minds, alimentando un ibrido costantemente in bilico tra “passato” e “presente”, fornendo all’astante una visione piuttosto nitida e peculiare di come i nostri intendono il “futuro” di una musica colta, inquieta e naturalmente “contaminata”.
Il carisma e la duttilità interpretativa del
vocalist Massimo Piubelli rappresentano un importante elemento di distinzione, tanto che la prestigiosa presenza di
Todd La Torre, in “
A dystopian tale”, finisce quasi per interrompere il comunicativo
stream of consciousness tipico dell’opera, pur assecondando con innato buongusto le necessità dei cultori più “tradizionali” del settore.
Tra ricami esotici, squarci cibernetici, aperture sognanti, poliritmie, melodramma e una costante tensione emotiva, il programma di “
Clockworks” si sviluppa all’insegna di una sagace ricerca compositiva, attuata da musicisti che non hanno bisogno di futili espedienti per apparire “geniali” e affidano quest’ora abbondante di note, assolutamente priva di controindicazioni (compresa una
cyborg-version di “
Nail in my hand”, prelevata dal debutto), a chi crede che l’estinzione di un certo approccio artistico possa essere scongiurata solo grazie all’ispirazione e al
pathos … se vi riconoscete nella suddetta descrizione i
Methodica fanno sicuramente al caso vostro.
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