Roine Stolt, un po’ come
Andy Tillison dei
The Tangent, sembra sempre ambire a una sorta di
“ultimate progressive rock album” che possa fare storia negli anni a venire. Se con i
The Flower Kings ci è andato vicino almeno un paio di volte (penso all’esordio o al più recente
“Banks Of Eden”), ci è probabilmente riuscito con i
Transatlantic che, a oggi, hanno “sbagliato” solo l’ultimo
“Kaleidoscope”.
Ora, non so se
“Islands” verrà ricordato come
“Back In The World Of Adventures” o
“Bridge Across Forever”, ma nonostante l’indecenza della durata - oltre i 90 minuti - è un disco che scorre davvero bene.
Merito dei brani mediamente più brevi? Della stesura a distanza? Delle orchestrazioni dal gusto epico di
Zach Kamins? Di un titolo che rievoca i
King Crimson? Della copertina di un certo
Roger Dean? Non lo so, ma resta il fatto che quella patina di “vecchio” che da sempre ricopre le produzioni degli svedesi, qui è meno evidente, ed episodi come
“Journeyman”, “Solaris”, “All I Need Is Love” o
“Serpentine” sono lì a dimostrarlo.
Per carità, stiamo sempre parlando di rock progressivo a tratti pachidermico e spesso nostalgico (
“Racing With Blinders On”, “Heart Of The Valley”, “Between Hope & Fear”), ma ragionevolmente accessibile e meno autoindulgente rispetto al recente passato (che a volte ritorna, come in
“A New Species” o in
“Northern Lights”).
Sogno ancora l’album singolo e non doppio, ma è andata comunque molto meglio del previsto.
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