Conservo gelosamente il vinile di "Fist Held High" dei
Thrust, uscito nel 1984 per Metal Blade, perchè in piena prima ondata thrash metal rappresentò un caposaldo dell'US metal più classico ed epicheggiante. Brani come la title-track o la anthemica "Posers will die!", per un ventenne come ero all'epoca rappresentavano nutrimento puro per lo spirito metallico che mi animava in quei tempi ormai leggendari.
Purtroppo però, la band originaria di Chicago non ebbe fortuna. L'esplosione di altri stili ed il trasferimento in massa a Los Angeles causarono fratture insanabili all'interno del gruppo, tenuto poi in vita dal solo chitarrista
Ron Cooke (unico componente originario presente ancora oggi in formazione). Così, dopo alcuni tribolati anni, la formazione sparisce dalle scene.
Ma al principio del nuovo millennio, in piena revival-era, i
Thrust risorgono dalle proprie ceneri. Nuova line-up, stimoli rigenerati, dopo un paio di lavori non memorabili fanno uscire l'ottimo "Harvest of souls" (2018, Pure Steel Records) che li ricolloca sotto i riflettori del mondo metal. Onesti, coerenti, motivati, ripropongono in versione contemporanea la loro fedeltà ad un heavy classico, fatto di aggressività e melodia, di sudore ed attitudine, di "pugni levati in alto" ed headbanging energetico.
Il nuovo lavoro "
Helm of Awe" non delude le aspettative. Una serie di brani vigorosi, potenti, dall'atmosfera fiera ed epica, nel segno della continuità ottantiana di un'attitudine americana muscolare e battagliera.
Anthem cadenzati e Manowar-iani come "
The traveler" o "
Ghost in me" si alternano a pezzi tirati e rocciosi, certamente tradizionali ma molto ben eseguiti, come "
Black river", la svelta e massiccia "
Blood in the sky", una "
Purgatory gates" che ricorda molto le cose di R.J.Dio o la cavalcata maideniana "
Battle flag". Riff scolpiti nel granito, assoli ficcanti, ritmiche galoppanti, vocals acute e guerresche da parte dell'ottimo
Eric Claro, sono le semplici componenti del
Thrust-sound. Ma qui non si scade mai nella banalità, grazie ad una esperienza pluridecennale ed una competenza esecutiva e compositiva da band di alto livello.
Due brani propongono invece qualcosa di diverso: "
Killing bridge" è una buona ballad tesa e drammatica che mette in evidenza le doti vocali di
Claro, mentre la title-track si avvicina al groove-metal torvo di ultima generazione. Cattiva e sferzante, dalle vibrazioni quasi sinistre.
Ottimo album. Non un capolavoro, ma molto gratificante per chi è legato all'interpretazione classica dello stile metal. Forse i
Thrust non sono dei capostipiti del genere, ma bisogna riconoscere loro una dedizione incrollabile ed una qualità superiore alla media. Se non avete avuto modo di apprezzarli negli eightees, è certamente tempo di farlo ora.
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