Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2020
Durata:43 min.
Etichetta:Small Stone Records

Tracklist

  1. THE FIRST MURDER ON MARS
  2. STONE HANDS
  3. REPTILE
  4. A GREATER EVIL
  5. CALL THE JUDGE
  6. PRIESTESS
  7. GOOD MONSTER
  8. LEDBELLY
  9. TERRESTRIAL BIRDS

Line up

  • Peter Kolter: vocals, guitar
  • Constantine Grim: guitar
  • Tommy Scott: bass
  • Pierson Whicker: drums

Voto medio utenti

"Il Fango Elettrico". Cosa vi fa venire in mente un moniker del genere in campo musicale? Magari un tipo di heavy-rock turgido e spesso, spruzzato di vibrazioni hard-stoner e classiche melodie alcoliche di matrice southern? Vocals da whiskey-crooner e chitarre che macinano riff torbidi ed escapismi psycho-bluesy? Moderna tensione muscolare, calore afoso, grinta da biker e vibrazioni di antico rock seventies che profuma di Blackfoot, Grand Funk e compagnia?
Esatto, proprio quello.
Dalle paludi e dalle mangrovie della Florida l'inossidabile Small Stone pesca questi The Electric Mud, che avevano esordito nel 2018 con l'album "Bull gator". Questo secondo capitolo "Burn the ships" non fa che confermare l'ottima impostazione heavy-southern-rock del quartetto americano.
Un mix di granulosità alla Foghound, Roadsaw, Pimmit Hills, Serpents of Secrecy e di improvvise incursioni nell'hard-blues para-lisergico quasi Led Zeppelin-iano.
Una ingegnosa agro-ballad come "Terrestrial birds" non può non ricordare passaggi del genere "Physical graffiti", contornati dalla struggente malinconia da "beautiful losers" del rock confederato di ogni tempo. Così come lo strumentale "Leadbelly", con il suo lungo assolo di batteria da parte di Pierson Whicker, ci riporta alla tradizione di caposaldi seventies come "The mule" o alle suite di Iron Butterfly o Uriah Heep.
Ma nel lavoro troviamo anche canzoni molto più contemporanee, come la sferzante e ruvida "The first murder on Mars" o le groovy e stoner-blues "Stone hands" e "Call the judge", dai ritornelli epidermici ed insinuanti. Roba solida, non sorprendente ma densa di passione e di immaginario da sporchi e malfamati locali del sud degli Usa. Altrettanto convincente la tirata "Reptile", episodio che parte "in your face" e poi si trasforma in un escapismo jammistico dal sapore psichedelico.
Voce adeguata e chitarre sempre pronte a librarsi in gratificanti assoli, una coppia ritmica elastica e senza troppi fronzoli, ottima capacità melodica molto influenzata dal southern-rock, sono le caratteristiche primarie di questa band e del presente lavoro. Niente più, niente meno.
C'è qualche lieve caduta di tensione, come la lungaggine della articolata "Priestess" che pare un incrocio tra la versione rallentata dei Maiden ed il blues più sofferto e notturno alla ZZTop. Idea non malvagia, ma un pò troppo estesa. Anche "The greater evil", con i suoi chiaroscuri ritmici sembra un brano che poteva svilupparsi meglio.
Però alla fine la passione, il ruvido calore e l'irsuto feeling melodico dei ragazzi del Caloosahatche River, risulta vincente. Gente con le radici ben salde nel proprio territorio geografico e musicale, tutt'altro che innovatori o sperimentatori ma capaci di trasmettere con forza il mood energico e coinvolgente dell'heavy-blues caratteristico delle loro latitudini.

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