Più vicino alla scuola scandinava che non a quella britannica, il nuovo lavoro dei
mancuniani Atlas dimostra che per competere ad armi pari con i più quotati protagonisti del settore è necessario andare oltre una prova formalmente esente da difetti limitanti.
“
Parallel love” ci consegna una
band piuttosto preparata, che conosce molti “trucchi del mestiere”, ma non riesce a quasi mai a costruire composizioni in grado di superare una notevole superficialità emotiva, principale causa di un suono evanescente e raramente davvero incisivo.
Mescolando Alias, Bad Habit e Bon Jovi (soprattutto per le inflessioni timbriche di
Craig Wells, un
vocalist non sempre perfettamente a fuoco) i nostri sfornano un programma in cui a prevalere è una certa monotonia, interrotta in maniera abbastanza significativa solo da “
The fever”,
opener dotata di discreto fascino, “
Weathered heart” e “
Dare to love”, buone traslitterazioni dell’arte Bon Jovi-
esca, “
Human touch”, dalla linea melodica pulsante e adescante, senza dimenticare la
verve raffinata di “
Beyond the limit”, forse in assoluto il frammento maggiormente riuscito dell’intera raccolta.
Altrove, c’è sempre qualcosa che non funziona a dovere, vuoi per l’eccessiva prevedibilità di un
refrain, per una costruzione armonica apatica o, come anticipato, per un’interpretazione vocale un po’ troppo “sopra le righe” (vedasi la potenzialmente molto intrigante “
Falling out of love”).
Con quello che offre oggi il
rockrama melodico, “
Parallel love” è da considerare un’uscita nell'insieme dignitosa e tuttavia trascurabile, da consigliare esclusivamente agli inguaribili collezionisti del genere.
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