Copertina 7,5

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2020
Durata:39 min.
Etichetta: Avantgarde Music

Tracklist

  1. ATHAMé OF FLAME
  2. THE SORCERER'S SORROW
  3. DROWNED IN THE SPRING OF LIFE
  4. DEAD SPIRIT
  5. THE SLEEPLESS EYE
  6. MIRROR OF VOICES
  7. LIVRE DES ESPERITZ

Line up

  • James Sloan: everything

Voto medio utenti

Il titolo scelto dagli Anachitis, diciamocelo chiaramente, è uno scioglilingua tale da far sorgere ab origine più di un dubbio circa la fruibilità dell’opera.
Invece, così come non si giudica un libro dalla copertina, non si dovrebbe nemmeno giudicare un album dal titolo, visto che quello della band statunitense scorre a meraviglia.

Più che band sembra opportuno parlare di one man band: James Sloan, polistrumentista e compositore americano (già con gli ottimi Uada), fa in questa sede pentole e coperchi, deliziando gli amanti del DSBM con un’opera prima davvero notevole per maturità e qualità.

Il depressive, si sa, è materia complessa da maneggiare, ma il Nostro dimostra di possedere calibro e personalità ben oltre la media, confezionando un platter in perfetto equilibrio tra black anni ’90 (impossibile non cogliere i rimandi al caro vecchio Conte) e successivi discepoli (citerei Austere, Deafheaven, Ghostbath, Anomalie e Shining come riferimenti più prossimi).
Il tutto, si badi, mantenendo un approccio assolutamente personale al genere, senza scimmiottare nessuno e facendo emergere con forza interiorità e stati d’animo dell’artista.

Una rielaborazione, dunque, che alterna episodi di estrema cupezza (“Drowned in the Spring of Life” su tutte) ad altri in cui imperversano malinconia e rassegnazione (“Dead Spirit”, l’iniziale “Athamé of Flames”), in un saliscendi emotivo immancabilmente contraddistinto da buongusto compositivo e negli arrangiamenti -sporadici quanto provvidenziali i contrappunti di tastiera e sax-.

Gli Anachitis, dunque, realizzano un’opera in grado di soddisfare tanto i giovincelli, che da poco si sono affacciati alla scena, quanto gli obsoleti cresciuti a pane e Burzum come il sottoscritto; un’opera che ho apprezzato al punto da dolermi per la sua breve durata: di solito plaudo agli album capaci di dipanarsi efficacemente in meno di 45 minuti, ma in questo caso avrei senz’altro gradito un paio di brani in più.

Poco male, comunque sia: “The Sorcerer’s Sorrow” non assurgerà al rango di capolavoro, ma se cercate una colonna sonora adatta a questi tempi funesti o, ancor più, ai vostri tormenti interiori, dovreste concedergli una chance.

[La prossima volta, se possibile, gradirei un titolo con meno R ed S accavallate tra loro, grazie.]
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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