Tagliamo subito la testa al toro: questo è proprio un bel disco, non si tratta di un capolavoro per carità, ma credo che tutto sommato piacerà a molti amanti del progressive metal tradizionale, il suo unico difetto è forse l'eccessiva durata (quasi 70 minuti!) che alla lunga rischia di stancare l'ascoltatore, ma al suo interno sono presenti dei passaggi davvero degni di nota, oltre ad essere effettivamente ben suonato, ma andiamo con ordine e facciamo un pò di storia....
Gli americani
Leviathan, forse sconosciuti ai più, sono tutt’altro che dei novellini anzi, la loro attività ha inizio nel lontanissimo 1989 e la discografia della band vanta al suo attivo ben 6 album in studio (escluso il presente).
Nella prima parte della loro carriera, che ha luogo nei “gloriosi” anni 90 i nostri, guidati dal chitarrista-fondatore
John Lutzow e dal carismatico vocalist
Jeff Ward, rilasciano 3 discreti album, che tuttavia non raccolgono molti consensi, d'altronde non va dimenticato che quelli erano anni d’oro per il prog metal e forse i
Leviathan pagarono eccessivamente dazio a un panorama musicale che li vedeva inevitabilmente chiusi da una miriade di bands effettivamente migliori di loro, cosi nel 1998 la formazione si scioglie.
Nel 2011 la band torna coraggiosamente in pista, più o meno con gli stessi membri, ma solamente 3 anni più tardi deve fare i conti con la dipartita di
Ward, la cui voce era ormai diventata il marchio di fabbrica del sound del gruppo e cosi, tra mille difficoltà, viene reclutato il nuovo singer
Rafael Gazal che, due anni or sono, fa il suo debutto discografico ufficiale.
Cosi, arriviamo a
Words Waging War, settimo sigillo del combo a stelle e strisce; come dicevamo, si tratta di un buon lavoro, caratterizzato da un progressive metal che sa essere raffinato ma al tempo stesso assai spigoloso, intriso di melodie per lo più cupe e comunque mai banali, e di sezioni ritmiche dall'andamento spesso irregolare, grazie al lavoro di basso di
Derek Blake ed alla batteria di
Kyle Brian Abbott, che completano il lavoro di
Gazal e
Lutzow, quest’ultimo, con i suoi arrangiamenti ed assoli, è ovviamente il vero e proprio protagonista del disco.
Certo, rispetto ai lavori degli anni ’90 della band, periodo in cui forse era più facile “essere sé stessi”, senza dover per forza scimmiottare qualcuno, questo lavoro è pieno zeppo di influenze, in primis dei Fates Warning, che si possono ritrovare in pezzi quali
Ambitious Stones Overtuned,
Who I’m Supposed To Be,
WWW e
Projecting Feelings, tanto per citarne alcuni.
Non mancano poi dei riferimenti dreamtheateriani, come nell’iniziale
Compromised By Need, o qualche spruzzata di Queensryche (periodo LaTorre), vedasi la convincente
Someone Else’s Art. Tuttavia, a dispetto di queste innegabili e lampanti influenze, la musica è composta con classe ed è cosi ben suonata che alla fine, ciò che prevale, è effettivamente quanto di buono il disco riesce a trasmettere in termini di pathos, tecnica e composizioni melodiche. Cosi, di conseguenza, le suddette contaminazioni non sono mai fini a sé stesse, ma si amalgamo alla perfezione con il sound dei
Leviathan, senza snaturarlo.
La gemma più preziosa dell'album è indubbiamente
Picture Perfect, in cui a dominare è l’eleganza, esaltata dal giro iniziale di chitarra acustica e dalla sezione ritmica sincopata, e qui non si può far altro che lasciarsi trasportare dalla bellezza di un brano in cui la raffinatezza convive armonicamente con la ruvidità del metal (comunque presente).
In conclusione,
Words Waging War è un disco che farà felici gli amanti del "U.S prog" tradizionale, quindi con qualche spruzzata di heavy-power, ovviamente nell'accezione americana del termine. Pertanto se vi piacciono, oltre ai gruppi di cui sopra si è parlato, i primissimi Crimson Glory, Heir Apparent o i più recenti Ion Vein o Redemption (questi ultimi del resto nascono da una “costola” dei Fates Warning), probabilmente non disdegnerete nemmeno gli attuali
Leviathan.
A onor del vero, quest'ultima fatica discografica della formazione americana non è priva di qualche sbavatura, prima fra tutte, come detto, l’eccessiva durata: forse se i nostri si fossero attestati intorno ai 50 minuti, il disco avrebbe probabilmente reso di più in termini di intensità. Inoltre, un'altra pecca può essere individuata in determinate scelte stilistiche poco azzeccate, come la ripetizione eccessiva di certi arrangiamenti o la presenza di qualche intermezzo tranquillamente trascurabile, tuttavia tali "nei" vengono abilmente messi in secondo piano, surclassati in ogni istante dalla qualità e dalla bravura della band.