Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2020
Durata:45 min.
Etichetta:Relapse Records

Tracklist

  1. EPIGRAPH
  2. POOR DEVIL
  3. MOONFLOWER
  4. SHIBBOLETH
  5. MOTHER OF GOD
  6. SCAVENGERS
  7. WIDDERSHINS
  8. PREYER
  9. LADY DIAMOND
  10. BEHIND THE VEIL
  11. THE SQUARE COLISEUM

Line up

  • Sharad: Bass
  • Joshy: Drums
  • Brendan: Guitars
  • Orion: Vocals
  • Tim: Guitars
  • Dylan: Guitars

Voto medio utenti

Su queste pagine avevamo incontrato gli Ilsa un paio di anni fa con l’uscita dell’ottimo “Corpse fortress”, oggi la band di Washington D.C. torna fra noi con la pubblicazione – sempre per Relapse – della loro sesta fatica intitolata “Preyer”.

Come indicato dalla band nelle note che accompagnano il disco, nei brani aleggia la presenza di Sean Sellers, nome che a noi che abitiamo dall’altra parte dell’oceano dice poco o nulla, ma che negli States è noto per esser stato il primo minorenne ad esser condannato alla pena capitale per gli omicidi nel 1985 della madre, del patrigno e di uno sventurato commesso che si rifiutò di vendergli della birra. Sellers durante il dibattimento processuale affermò di aver compiuto gli omicidi perché ordinatogli da una entità demoniaca con cui entrò in contatto durante pratiche sataniste, e a nulla servì il successivo pentimento e conversione al cristianesimo in quanto fu ritenuto un mero espediente di facciata per evitare la forca.

Sean Sellers venne giustiziato nel 1999 tramite iniezione letale.

Diversamente da quello che si può credere, “Preyer” non è un concept album sulla vita di Sean Sellers, bensì, leggendo le liriche contenute nel presskit fornitoci dalla Relapse, scopriamo che le vicende sopra narrate sono state lo spunto per esprimere le opinioni del sestetto americano su temi scomodi quali estremismo cristiano, religione, depressione, disturbi della personalità.

Il sound della band non ha variato le sue coordinate, sludge deviato e distorto, imbastardito con death e doom seguendo la strada già segnata dai seminali Eyehategod, alternando passaggi più ritmati con spruzzate punk (v. “Moonflower”, “Shibboleth”, “Behind the veil”) ad altri più pastosi e ipnotici (v. “Poor devil”, “Mother of God”, “Scavengers”, "The square coliseum") come tessere di un domino che si incastrano fra loro.

Che gli Ilsa ci sappiano fare è indubbio, in “Preyer” c’è anche tanto mestiere e il risultato lo portano a casa in scioltezza, però penso che rispetto al precedente manchi quel pizzico di follia in più che mi fece consumare la mia copia di “Corpse fortress”.

Che vi piaccia il genere o meno, gli Ilsa rimangono una di quelle band che difficilmente deludono.

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