I
Lords Of Black sono, a mio parere ovviamente, una delle più belle realtà che la scena Metal ci ha offerto negli ultimi anni, diciamo dal 2014 quando
Tony Hernando e
Ronnie Romero avevano dato il via a questa band, esordendo nello stesso anno con l'omonimo album. Un più che discreto lavoro, che però è stato largamente surclassato dal seguente "II" (2016), che aveva inaugurato la collaborazione con la nostra
Frontiers, per la quale hanno poi inciso sia "Icons of the New Days" (2018) sia l'appena uscito "
Alchemy of Souls - Part I -".
Il periodo intercorso tra gli ultimi due album non è stato facile, soprattutto per il momentaneo allontanamento dal gruppo di
Romero, che a inizio 2019 ha deciso di dedicarsi ai suoi altri impegni. A questo punto
Tony Hernando ha provato a rimettersi in pista avvalendosi del supporto di Dino Jelusic e di Diego Valdez, quest'ultimo annunciato anche come nuovo cantante e con il quale hanno iniziato a lavorare al nuovo disco. Le cose però non hanno funzionato e tutto si è sistemato con il rientro nei ranghi di
Romero. Una formazione dove ritroviamo anche il bassista
Dani Criado (già presente sul precedente "Icons of the New Days"), mentre dopo diversi anni di collaborazione dobbiamo registrare l'abbandono del batterista Andrés Cobos (ex Dark Moor, Saratoga...) sostituito dal belga
Jo Nunez (dai Firewind e con trascorsi nei Kamelot e Nightrage).
L'avvicinamento a "
Alchemy of Souls" non è stato evidentemente facile, ma i risultati sono eccellenti, visto che l'ultimo nato in casa
Lords Of Black si mantiene ai livelli dei suoi predecessori, pur con un feeling ed un sound meno intenso e drammatico ma più meditato e melodico.
Ad ogni modo l'opener "
Dying to Live Again" si snoda nella più classica tradizione dei nostri, con un bel pulsare ritmico e presa per mano dalla stupenda voce di
Romero per poi aprirsi all'inevitabile assolo di
Hernando. Niente di nuovo sotto il sole, e nemmeno dall'oscurità che troviamo nel titolo della seguente "
Into the Black", dove cambia l'ordine dei fattori ma il risultato non cambia. L'intensa e melodrammatica "
Deliverance Lost" avrebbe meritato un drumming più vario e meno scandito, e forse sia
Jo Nunez sia
Roland Grapow (che ha nuovamente co-prodotto, mixato e masterizzato l'album) potevano fare qualcosa di meglio, pertanto tocca alla solita coppia
Romero/Hernando andare a fare la differenza. L'abbrivio di "
Sacrifice" ha qualcosa dei Kamelot mentre il mid-tempo "
Brightest Star" e la più spedita "
Closer to Your Fall" lasciano, rispettivamente, trasparire un tocco più progressive e catchy, ben integrato nel sound dei
Lords Of Black, che poi si ammorbidiscono aprendo sulle note di un piano la successiva "
Shadows Kill Twice" che a sorpresa non si rivelerà una ballad bensì un episodio all'insegna del Power. Nessun cedimento nemmeno con "
Disease in Disguise", ruvida e arrabbiata, dove il cantato di
Romero non può non far ripensare al repertorio solista di Ronnie James Dio, un legame ancora più evidente su "
Tides of Blood" ("
We were slaves of a will..."). L'arpeggio acustico che apre la titletrack sembra presagire a grandi cose e, infatti, siamo davanti al momento clou del disco, una suite di oltre dieci minuti, ricca di pathos e impeto, sapientemente dosati e alternati, un blend dove i
Lords Of Black danno sempre il meglio di se.
Poteva finire qui, invece si accommiatano con la breve ballad "
You Came to Me" che, oltre a mettere ulteriormente in risalto le qualità di
Romero, immagino ci rimandi all'appuntamento con la seconda parte dii "
Alchemy of Souls".
"II" resta la loro miglior uscita, ma anche in questa occasione i
Lords Of Black convincono e mettono in mostra le loro qualità, su tutte la voce e le capacità interpretative di
Romero. Il rischio però è quello che si adagino nella loro comfort zone, ripetendo "all'infinito" le stesse soluzioni, e il "Part I" aggiunto al titolo non presuppone niente di buono in tal senso.
Certo però che se i risultati sono poi questi, si può anche chiudere un occhio.
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