"
Sorrows" è uscito a fine agosto.
Siamo a fine novembre ed ancora non l'ho recensito.
In questi casi di ritardo abissale ci sono poche, pochissime ipotesi sul perchè questo possa essere accaduto e purtroppo sono tutte negative:
1) il disco è talmente ignobile da non meritare menzione su Metal.it (e non è questo il caso)
2) il Graz, noto arteriosclerotico, ha accumulato centinaia di promo sulla scrivania e questo è rimasto in fondo oppure è proprio scivolato dietro il battiscopa del parquet (molto più probabile, ma di nuovo non è questo il caso)
3) il disco è una delusione cosmica e prima di recensirlo negativamente lo ascolto 800 milioni di volte finchè non ci trovo qualcosa di buono...
Ahimè, siamo chiaramente nell'opzione 3 e di buono nel quarto disco degli svedesi
Veonity c'ho trovato davvero poco.
Ed è un vero peccato, perchè tutto era andato nella giusta direzione: "
Legend of the Starborn" l'ho consumato, anzi lo consumo tutt'ora, è uno di quei dischi che è prepotentemente entrato nelle mie playlist sportive e quindi ogni volta che vado in bici o a correre non c'è modo che una "
Rise Again", "
Winds of Asgard" o "
Warrior of the North" non mi portino ad andare fuori soglia, tanto è il fomento che mi provocano.
Con tutti i suoi difetti, perchè è un disco troppo lungo, con qualche brano che avrebbe dovuto essere più stringato, è senza dubbio entrato nelle mie grazie e lo stesso mi aspettavo con "Sorrows", peraltro pubblicato da un'etichetta che da sempre, sia nel metal estremo sia in quello più classico, ha sempre incontrato i miei gusti e desideri.
Ed invece no.
Semplicemente "Sorrows" non funziona: ha il grande pregio di essere un disco più più asciutto, solo 9 brani per circa tre quarti d'ora di musica (ottima scelta) ma gli stessi non sono minimamente all'altezza di quelli presenti su "Legend", tranne qualcosina da metà album in poi, tipo la dirompente "
Free Again", che però si perde come spesso accade al momento del ritornello, o dell'invece centrata "
Where Our Memories Used to Grow" ma già con la successiva "
Acceptance" si rientra nell'enorme problema di questo album, ovvero brani che non hanno quella scintilla, quella strofa vincente, quelle melodie azzeccate e brillanti che c'erano in passato. Tutto rimane "normale", i minuti scorrono ma i chorus non riescono ad entusiasmare....insomma, sembra impossibile ma è come se per questo disco sia mancata quell'ispirazione e quella freschezza che aveva contraddistinto il loro disco del 2018.
Rimane un certo gusto negli assoli e la voce grintosa, a volte un po' sgraziata ma è anche quello il bello e la caratteristica, dell'anche chitarrista
Anders Sköld ma è inutile nascondere tutta la mia delusione in quella che per me rappresentava una delle uscite più attese di questo 2020: anche la produzione a dirla tutta non mi fa impazzire, con suoni un po' squilibrati, e la disgraziata decisione di mettere in apertura i brani nettamente più deludenti del disco, come "
Graced or Damned", un mid-tempos roccioso ma oltremodo noioso, con linee vocali che non vanno da nessuna parte, tastiere bruttissime ed il solito ritornello che non funziona, e la successiva "
Back in to the Dark" che presenta la strofa più inoffensiva e piatta di tutta la carriera dei Veonity, almeno prima dell'orrido break con growl in sottofondo che introduce un chorus che... ok, ok, avete capito.
Il disco non è orrido ma viste le mie aspettative è una delusione cosmica che sicuramente ha fatto rimanere più male me di quanto la band potrebbe rimanere male di fronte la mia recensione.
Forse sono state proprio le aspettative a fregarmi, dato che il disco è stato generalmente ben recepito eppure se più di tre mesi di ascolti continuativi non sono bastati a convincermi devo arrendermi all'evidenza e non mi rimane che sperare in un quinto album che mi porti nuovamente a scapocciare ed esaltarmi come nel recente passato...