Strana creatura sonica, quella congeniata da
Henrik Palm, musicista svedese noto soprattutto per la militanza in Ghost e In Solitude.
Un’entità artistica che sembra mutare continuamente, evolvendosi in molteplici sentieri espressivi, mantenendo costante una certa tensione emotiva, sia che si tratti di scavare negli abissi o di liquefarsi nell’atmosfera attraverso miasmi di psichedelia, colorati da contorni sinistri e vaporosi.
Il tutto avvolto in una coltre piuttosto fascinosa di melodia, elementi che rendono “
Poverty metal” un disco intrigante, in cui la varietà dei codici stilistici trattati porta l’astante a respirare l’aria, se non proprio dell’
avanguardia, almeno dell’
avanscoperta.
Si tratta anche di un albo in cui il recensore può sfogare tutto il suo innato senso per l’iperbole comparativa, spaziando dal
doom, all’
hard-rock, dal
prog al
grunge, dalla
new-wave alle colonne sonore, tante sono le suggestioni ispirative che si dipanano in appena trentasette minuti di caleidoscopico ascolto.
Del resto è sufficiente dare un’occhiata al profilo
facebook del nostro per rendersi conto di quanto ampio sia il ventaglio delle sue potenziali “influenze”, e lo scoprire che tra queste siano inclusi anche alcuni dei nomi più significativi della scuola “oscura” tricolore (Black Hole,
Fabio Frizzi, Goblin, Death SS, Paul Chain Violet Theatre, …) piace e non sorprende per nulla dopo la fruizione attenta dell’opera.
Insomma, innescando l’annunciata sarabanda degli accostamenti, ecco che “
Bully” striscia nei sensi mescolando primi Pink Floyd, Saint Vitus, Cathedral e gli stessi Ghost, mentre in “
Sugar” l’idea di un’estemporanea collaborazione tra Motorpsycho e
David Bowie non appare poi così strampalata.
“
Concrete antichrist” e, ancor di più, le armonie sghembe di “
Given demon”, potrebbero piacere anche agli estimatori dei Franz Ferdinand, in questo caso impegnati, nel finale di brano, ad accompagnare i titoli di coda di una mesmerica pellicola a sfondo
horror-oso.
Dopo la discesa negli inferi di “
Destroyer”, un esempio piuttosto “impressionante” di
heavy-doom-psych (e qui si possono chiamare in causa anche i Melvins), venire risucchiati dalla mesta risacca eterea di “
Nihil” crea un appagante senso di straniamento, un attimo prima che la sua propaggine “
Nihilist” flirti con il
pop e lo
shoegaze per completare l’opera di spiccata attrazione.
Lo strumentale “
Last christmas” sgrana il suo rosario Sabbath-
iano come se fosse immerso in una lattiginosa sostanza cosmica, confermando
Henrik Palm un ottimo interprete (anche sotto il profilo vocale) della contaminazione tra i generi, attuata all’interno dei seducenti confini delle tenebre … sono molto curioso di capire quale tipo di pubblico lo vorrà seguire in questo visionario percorso.
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