Recupero la recensione di questo “
Rock the highway”, già uscito da un po’, per tre motivazioni fondamentali:
1. Perché è un gran disco.
2. È sorprendente.
3. È quello che ho probabilmente ascoltato di più in questo infausto 2020.
Partendo a ritroso dalla terza considerazione, diciamo che forse non è l’incisione migliore dell’anno, non è particolarmente innovativa e tuttavia, anche nel ricco assortimento degli album “rigorosi”, spicca per un livello di coinvolgimento emotivo talmente istantaneo e prepotente da farlo preferire a molti dei suoi contendenti formalmente anche più “attrezzati” di lui nell’istigazione all’ascolto reiterato.
E arriviamo all’effetto “sorpresa”, impossibile da evitare, anche nei nostri tempi “globalizzati”, quando si scopre che gli autori dell’opera, denominazione collettiva
Girish and The Chronicles, sono indiani e sebbene siano piuttosto noti in patria, per il resto del mondo rappresentano sostanzialmente una “scoperta” targata
Lions Pride Music.
Lo stile musicale proposto è un
hard-rock melodico, massiccio e sfrontato (chiamatelo pure
hair-metal, se preferite …) e a stupire ancor di più è l’energia e la vitalità con cui i nostri trattano la “materia”, assorbendo con innata disinvoltura evidenti rifrazioni della storia del genere e restituendocele con quella disarmante naturalezza e veemente intensità spesso smarrita da molti dei loro colleghi statunitensi appartenenti alla medesima generazione, mettendo in difficoltà anche gli analoghi campioni nordeuropei del settore.
A basilare supporto di tutto ciò, arriva poi una tecnica esecutiva di notevole livello, pilotata dalla duttile animosità vocale di
Girish Pradhan e dalle chitarre acuminate di
Suraz Sun (qualcosa tra
George Lynch e
Akira Takasaki), mentre il basso pulsante e fantasioso di
Yogesh Pradhan e i tamburi fragorosi di
Nagen Nags sostengono un
songwriting pieno di splendidi ed efficacissimi
cliché.
Ogni
fan dell’
hard n’ heavy americano non potrà proprio restare indifferente di fronte a un tessuto melodico così euforizzante, il cui “segreto” è l’essere istintivo e autentico, in mezzo ai tanti “freddi” falsari che infestano la “scena”.
Insomma, la mia convinzione (vagamente “romantica”, lo ammetto …) che in ambiti espressivi così codificati la differenza la facciano il “cuore” e la “pancia” sembra trovare conferma nei solchi di un albo privo di pause, che esordisce con una
title-track intrisa delle peculiarità dell’inno dirompente e prosegue con una “
Everynight like tonight” che elargisce dosi copiose di testosterone e grinta.
Che dire di “
Rock 'n' roll Is here to stay”, una dichiarazione d’intenti fin dal titolo? Semplicemente che è uno dei brani che vi troverete a cantare a squarciagola fin dal primo contatto, apprezzandone subito dopo le sfumature armoniche tutt’altro che banali, sviluppate in territori fortemente “familiari”.
La
power ballad “
The distance between” dimostra la competenza dei nostri anche in questo imprescindibile “fondamentale” e a chi era pronto ad attaccarli per la loro scarsa creatività consiglio l’ascolto di “
The sikkimese dream”, con le sue volubili coreografie sonore (non lontane da certe cose dei Winger) e il fascinoso tocco esotico.
“
Bad shepherd” irrompe con tutta la ruvida essenza del “metallo di strada” e sulla stessa linea si collocano “
She's heavy metal” e “
The rebel” (
featuring Rowan Robertson), che accentuano ulteriormente la quota a impatto frontale del programma.
Le emozioni forti continuano con il poderoso
psych-hard-blues “
Trapped inside a mirror”, capace di sconfinare in terreni
grunge, e se “
Wounded” riprende a sollecitare la parte sentimentale dell’animo
rockofilo, “
Tears of the Phoenix” ha i mezzi per far provare un brividino speciale agli estimatori dei Mr. Big.
“
Identity crisis”, sinuosa e scalciante, e l’ardore acustico della
bonus-track “
Walking the line”, sono gli ultimi due mattoni di un muro sonoro potente e ammaliante, edificato da un gruppo che sarebbe un errore madornale considerare alla stregua di una “stravaganza” geografica nel
mare magnum del
rock n’roll internazionale.
Come affermato all’inizio della disamina, “
Rock the highway” è un grande disco, che non si può proprio fare a meno di consumare.