Un nuovo albo degli
Unruly Child rappresenta sempre un piccolo / grande sussulto per gli appassionati di
Adult Oriented Rock.
In realtà, si tratta di un “vincolo” nell’indicazione del pubblico di riferimento non del tutto giustificato, dacché la musica dei nostri ha sempre inglobato suggestioni stilistiche abbastanza variegate, non escludendo
prog e
hard-rock da una formula espressiva che meriterebbe di essere apprezzata senza soverchie preclusioni per la sua maturità e per la raffinatezza e l’intensità di cui è capace.
Da quando è tornato sulle “scene”, dopo le note turbolenze del passato, il gruppo ha ostentato una “consapevolezza” artistica davvero spiccata, aspetto che non esclude che i loro dischi, sofisticati ed equilibrati, sappiano anche garantire le necessarie scosse elettriche.
Ed è proprio quanto accade in questo “
Our glass house”, ennesima attestazione di superiorità e sagacia melodica, illustrata da linee armoniche e arrangiamenti sempre efficaci ed eleganti, coordinati dal timbro comunicativo di
Marcie Free, la cui impronta interpretativa, diventata meno “esplosiva” nel tempo, è ancora assolutamente determinante.
Al resto provvedono
Bruce Gowdy,
Guy Allison e
Jay Schellen, musicisti dotati di una sensibilità straordinaria, oggi supportati dal basso di
Tony Franklin, un campione dello strumento che mette le sue celebri capacità virtuosistiche al servizio della “causa”.
Il risultato, come anticipato, è un’altra prova di notevole spessore, poco interessata alla contemplazione del “passato” e in cui tuttavia si percepisce nitido il
trade-mark di un suono dinamico e fascinoso, un calibrato miscuglio di esperienze sonore in cui scorgere le nobili effigi di Led Zeppelin, Yes, Alias e Bad English, tanto per fornire qualche indicazione di massima a tutti quelli che malauguratamente non conoscessero a fondo i precedenti della
band.
In realtà, sarebbe certamente più opportuno chiamarlo
Unruly Child-sound, sottolineando così il carisma di una formazione che decide di aprire il suo nuovo lavoro con la carica pulsante di “
Poison ivy” e “
Say what you want” (meglio la prima della seconda, invero ...), a dimostrazione che l’energia può essere parte integrante di linee melodiche diamantine.
Il lento e suggestivo incedere armonico della
title-track avvolge l’astante in un bozzolo di confortevole emotività, mentre “
Everyone loves you when you’re dead” punta su una ritmica più marcata e su un
refrain “ancestrale” per conquistare l’attenzione degli
chic-rockers.
Le atmosfere di
rootsy-AOR concesse a “
Talked you out of loving me” lasciano spazio al
groove magniloquente e alle deliziose polifonie vocali di “
Underwater” e “
Freedom is a fight”, inframmezzate dall’ardore sentimentale di “
Catch up to yesterday” e integrate dalla grintosa “
The wooden monster”, un’ottima preparazione per il
rush finale del programma.
“
We are here to stay” è, infatti, un gioiellino dagli echi Zeppelin-
iani che alimenta memorie mai completamente rimosse, pienamente evocate poi dalle versioni 2020 delle leggendarie “
To be your everything” e “
Let’s talk about love”, trasformate per l’occasione in immaginifiche colonne sonore di una favola bella ed emozionante.
“
Our glass house” non è esattamente un “capolavoro”, a quella “cosa lì” gli
Unruly Child hanno già dato e difficilmente si ripeteranno (sperando di dovermi ricredere,
eh …), ma e decisamente un gran bel ascoltare oltre che la convalida di un’integrità artistica felicemente custodita ed elargita a piene mani.