Che chi vi scrive ami i danesi
Royal Hunt, soprattutto quelli degli anni d'oro, è cosa assai nota. La band di
Andre Andersen e
DC Cooper mi ha sempre affascinato per la sua capacità di coniugare suggestioni barocche e solido heavy metal di stampo classico, quasi sempre più leggero, 'funambolico' ed affidato al suono d'insieme, ai cori e all'ugola del biondo pompiere della Pennsylvania. Ma da qui, e dal ritorno di DC alla casa madre con il bellissimo "
Show me How to live", ad oggi, e a questo "
Dystopia", sono cambiate molte cose.
Per cominciare, il sound della band si è via via appiattito, non per colpa degli eccelsi musicisti, ma un demerito decisamente da attribuire alla vena compositiva del tastierista/mastermind, che pian piano ha perso smalto e freschezza. Album dopo album, ho osservato una band alla disperata ricerca del pezzo/clone, che potesse rinverdire i fasti di un passato ahinoi lontano, ma ben poco si era raccolto in questo senso. E poi... questo. Pubblicità a spron battuto, una lista lunghissima di guest vocalists, molti dei quali erano già passati dietro il microfono dei Royal Hunt, un concept non meglio precisato, ma soprattutto una pioggia di 8, 9, 10 dalle webzines di mezzo mondo, ITALIA COMPRESA. Allora, caro mio, mi sono detto, dai che ci siamo stavolta!
Ma quando mai.
"
Dystopia" è un album triste, nel suo disperato cercare di emulare i Royal Hunt che furono. Un concept slegatissimo, in cui le lyrics spiegano poco e niente, più o meno ispirato (se non ho capito male) da "Fahrenheit 451" di Bradbury, con delle
intermissions qua e là a legare brani lunghi, artificiosamente pomposi e, francamente, poco interessanti. Né la label né la band hanno mai fornito ulteriori delucidazioni in merito al concept, quasi come se facesse figo dire "oh, è un concept, siamo forti eh!", e poi articolare il concetto non servisse. Da nessuna parte ho trovato chi canta dove, e quindi, a parte la lista dei nomi (Mats Leven, Mark Boals, Henrik Brockmann, Kenny Lubcke, Alexandra Andersen), o conosci le voci o ti attacchi. Non si capisce se sono personaggi diversi, non si trova uno straccio di plot, niente. E ancora: ma come si fa a definire questo album (e questa band) progressive metal??? E lo fanno in tanti, ma starete scherzando; qui di progressive non c'è un grammo, e anche di metal non ce n'è chissà quanto, eh. Certo, molti brani sono ben poggianti su ritmiche sostenute, anche in doppia cassa, ma il sound e l'intenzione non sono mai più pesanti di così.
E ancora non vi ho parlato dei brani! Fatti salvi un paio di pezzi, tra cui "
The Eye of Oblivion" o la drammatica "
Black Butterflies", le altre canzoni sono ripetitive, lunghe, poco interessanti. Poi, vogliamo parlare dell'idea di chiudere questo roboante concept album con... un intermezzo? Mi volete suggerire che ci sarà un secondo capitolo, o cosa? Boh. Come al solito, non una lyric, non una indicazione. DC ha sempre una gran voce, ma qui le linee vocali sono poco interessanti, e hai voglia di continuare a tutti i costi a cercare l'acuto della vita, non è quello che fa la qualità qui. Salvo, come sempre, la splendida prestazione alla chitarra di
Jonas "Yngwie" Larsen, ma per il resto, a malincuore, "
Dystopia" è un'accozzaglia senza capo né coda, premio "aspettativa delusa" del 2020.