Copertina 9

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:1987
Durata:non disponibile
Etichetta:Beggars Banquet

Tracklist

  1. WILD FLOWER
  2. PEACE DOG
  3. LIL' DEVIL
  4. APHRODISIAC JACKET
  5. ELECTRIC OCEAN
  6. BAD FUN
  7. KING CONTRARY MAN
  8. LOVE REMOVAL MACHINE
  9. BORN TO BE WILD
  10. OUTLAW
  11. MEMPHIS HIP SHAKE

Line up

Non disponibile

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Dopo aver deliziato le platee del post punk, del gothic rock e della new wave, prima con "Dreamtime", ma soprattutto con "Love", i The Cult sconvolgono letteralmente il mondo musicale. Via i vestiti svolazzanti di "Rain", entrano in scena giubbotti di cuoio nero e cartuccere, al diavolo i colori psichedelici di "Nirvana", adesso regna il caos, il nero che più nero non si può. "Electric" suona come un autentico shock; poche volte si era assistito, almeno fino ad allora, ad un cambio di direzione stilistica così radicale e repentino, specie se ad effettuarlo è un gruppo con un seguito di tutto rispetto.

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Eppure Ian Astbury e Billy Duffy, assistiti dal bassista Jamie Stewart e dal drummer Les Warner, sembrano dediti al puro hard rock da sempre, come se per loro fosse la cosa più facile e naturale di questo mondo. Prodotto dal guru Rick Rubin, reduce dal bagno di sangue con gli Slayer di "Reign In Blood", il 33 giri viene presentato in una elegante copertina gatefold, con immagini che definire "guerrafondaie" pare pure poco.
Sono probabilmente necessarie lunghe sedute di analisi per far riprendere dal trauma i vecchi fans del gruppo, convinti di avere individuato nei The Cult una sorta di protesi del movimento flower power.
Come poter digerire un simile voltafaccia, di sostanza e di immagine?

Pressoché impossibile.
Inaugurato dal riff tetragono di "Wild Flower", da una ritmica pulsante e da linee vocali al vetriolo, "Electric" parla il "vangelo" degli AC/DC e dei Led Zeppelin, azzerando ogni riferimento verso il proprio passato, ed aggiornando lo storico suono hard rock degli anni '70 al pragmatismo ed all'estetica della decade in corso.
Ne sono testimoni l'incendiaria "Lil' Devil", ma anche il primo singolo "Love Removal Machine", con quel giro di chitarra che sembra copiato pari pari da "You Shook Me All Night Long" degli AC/DC.
Billy Duffy non è certo un fenomeno di tecnicismi con la sei corde, così come Ian Astbury non può assolutamente competere con il range vocale dei più importanti esponenti del genere, tuttavia l'alchimia sprigionata dal duo è qualcosa di magico ed ancestrale. Il batterista Les Warner picchia come un ossesso in "Bad Fun", eppure trova anche il groove giusto per accompagnare clamorosi trip Zeppeliniani a titolo "Peace Dog" ed "Aphrodisiac Jacket".

La fluidità di songwriting non intacca mai la bocca di fuoco di una produzione mostruosa, che sputa fuori cattiveria a profusione dagli speaker dello stereo, vedi la granitica "King Contrary Man", oppure la martellante "Electric Ocean", ulteriore traccia molto AC/DC oriented. La stessa cover scelta per l'occasione, ovvero "Born To Be Wild" degli Steppenwolf, risente della vitaminica "cura Rick Rubin", una scelta certamente avallata con soddisfazione convinta da parte dei due "capi" della situazione. "Electric" non fatica a conquistare le classifiche di mezzo mondo, l'hard rock ed il metal imperversano in lungo ed in largo nelle classifiche, ed il pubblico del settore, solitamente sempre attento alla qualità, non può certo rimanere impassibile ad un simile lotto di canzoni.

È così che i The Cult, da esponenti della new wave, si ritrovano a primeggiare in un mondo che, fino a pochi anni prima, li vedeva come fumo negli occhi. Il clamore suscitato dal disco è infatti talmente rimbombante da suscitare l'attenzione dei maggiori produttori dedicati all'hair metal da classifica dell'epoca. Primo su tutti Bob Rock, al quale verrà affidato il non facile compito di dare voce alla replica di questa autentica bomba ad orologeria. Il successivo lavoro "Sonic Temple" aggiusterà il tiro verso un approccio più mainstream e meno selvaggio, le tastiere inizieranno a fare timido capolino, le canzoni verranno "levigate" e smussate rispetto alla furia primordiale incanalata in "Electric".

Tuttavia, se i The Cult guadagneranno credenziali sempre più referenziate nel mondo hard’n’heavy, non bisogna dimenticare che il “peccato originale” parte da questi solchi.

Recensione a cura di Alessandro Ariatti
The Cult - Electric(1987)

Con "Electric" i The Cult spiazzano i fans.Un improvviso e repentino cambiamento stilistico e la composizione dei brani genera songs mozzafiato se paragonate a cio' che il pubblico era abituato. Blues vigoroso venato di rock'n'roll e Hard Rockblues.La cover 'Born to be wild'(colonna sonora di Easy rider) degli Steppenwolf;Aphrodisiac jacket;Love removal machine,Wild flower.Come definirla non saprei se non la fase della transitorieta' o eccezionalita'.

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 16 set 2021 alle 17:20

Grazie a entrambi per la lettura. Ovviamente condivido, Electric è un fulmine. Un saluto.

Inserito il 16 set 2021 alle 09:33

Questo fu per me il primo disco hard rock che ascoltai e dal quale mi feci ammaliare grazie ai riff di zio Billy ("Lil' Devil" è stata tra le prime canzoni che mi misi a studiare "ad orecchio"). Però da un lato mi causa sempre un contrasto interiore. Da un lato lo adoro perché è adrenalina pura, potente ed esaltante. Dall'altro però ci sono alcuni riff che sono pesantemente scopiazzati da altre canzoni, tipo "Wild Flower" il cui main riff è pari pari identico a quello di "Rock 'N' Roll Singer" degli AC/DC di Hig Voltage. Così come quello di "Love Removal Machine" che mi riporta un po' troppo spesso alla mente a "Start Me Up" dei Rolling Stone e anche a "You Shook Me All Night Long" degli AC/DC. Ma chissene... 'sto disco è bello così come lo sono tutti gli altri a venire e che sono venuti prima...

Inserito il 16 set 2021 alle 09:18

Fa sempre bene ripeterlo: leggere le recensioni della rubrica Deja-vu è un grande piacere, bravo! Come accennavo sul Forum, questo disco fu davvero una "pietra dello scandalo" nell'ambiente musicale barese (ossia quello che frequentavo in quegli anni, come giovane chitarrista di varie formazioni locali). Se ne parlava quotidianamente, ad ogni sessione di prova, ad ogni panchina, in ogni corridoio delle scuole... Ho adorato Dreamtime e Love. Anzi, mi correggo: penso di aver letteralmente ascoltato e suonato Love per cicli di ore consecutive, che NON dedicavo allo studio del latino e greco come avrei dovuto. Electric mi spiazzò completamente: da un lato è un disco di hard rock da adrenalina pura, dall'altro rappresenta l'addio a uno stile e un'atmosfera che pochi altri gruppi hanno saputo replicare; e quindi lascia un retrogusto amaro in bocca. Due note: 1. la versione originale (pre produzione Rubin) di alcuni brani di Electric è altrettanto fenomenale. 2. l'artwork dei vinili Love e Electric è un capolavoro. I miei vinili sono due oggetti meravigliosi. Cari ascoltatori del digitale, non sapete cosa vi perdete.

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