I norvegesi
Dune Sea veicolano pienamente tutti i contenuti della attuale corrente di neo-psichedelia heavy. Il nome che evoca oceani di sabbia e la scenografia Herbert-iana, la grafica spazio-fantascientifica, i titoli di alcune canzoni tratti dalle eterne saghe di Star Wars e Star Trek, ma soprattuto un sound che coniuga lo psych-rock più acido ed allucinatorio con suggestioni energetiche che derivano dallo stoner. Un misto di Hawkwind, primi Monster Magnet ed una spruzzata di Nebula o Spaceslug.
Questo "
Moons of Uranus" è il secondo album della formazione scandinava e vede come principale protagonista il leader
Ole Nogva: chitarrista, cantante e addetto ai sintetizzatori. Questi ultimi sono molto presenti nell'intero lavoro allo scopo di creare un'atmosfera più cosmica ed allucinogena, insieme alle parti vocali sempre effettate che sembrano provenire da uno spazio alternativo interdimensionale.
La band non produce nulla di particolarmente clamoroso, ad esempio canzoni come "
Draw 4" o "
Sarlacc" vantano un tiro diretto ed epidermico, una sorta di robusto hard-rock space, ma anche un eco di già sentito che non può sfuggire agli appassionati di lungo corso. Però il trio possiede anche una certa fantasia propositiva, una varietà di soluzioni che sicuramente non dispiace e testimonia un potenziale in divenire.
Il velo garage e ritmato di "
First contact" (alla Atomic Bitchwax), il taglio classic-metal poderoso in "
Shaman", le vibrazioni lisergiche ed ariose della title-track (una sorta di space-doom Sabbathiano), l'atmosfera ipnotica e drogata di "
Oracle" e la massiccia traccia acido-Sleepiana "
Globe of dust", sono tutti validi esempi della qualità in possesso di
Nogva e soci.
Disco interessante, non ancora da massimi livelli ma con elementi di freschezza ed entusiasmo che stimolano in maniera positiva. Momenti brillanti ed altri meno, comunque è un nome da tenere presente per il futuro in campo psycho-stoner.
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