Secondo album per la band strumentale austriaca
Mothers of the Land, che aveva esordito quattro anni fa con "Temple Without Walls". Il sound del quartetto mischia elementi fortemente classic-metal ottantiano (la coppia di chitarre possiede vibrazioni Maideniane accentuate) con passaggi prog-rock, psichedelia eterea e concretezza vicina allo stoner.
Sei brani ben costruiti, con ripetuti cambi di ritmo ed atmosfera, complessità ed articolazioni strutturali, eleganza e buon impatto scenografico ed avvolgente.
C'è eleganza nei passaggi strumentali prodotti dalla band, ad esempio in "
The beast" viene coniugato un romanticismo progressivo dal taglio delicato con nervosa robustezza stoner e sciabolate chitarristiche che evocano i Wishbone Ash. In altre tracce, come la title-track o "
Queen of the den", troviamo un leggero retrogusto post-rock sul genere Khemmis o ASG ma molto contaminato dal limpido classicismo della coppia
Pluschkowitz/Jindra, grandi protagonisti del sound degli austriaci.
I due brani più estesi, intorno agli otto minuti, incrementano rispettivamente la componente prog-rock ("
Sanctuary") e stoner ("
Showdown"). Grande atmosfera ariosa nel primo, piena di solismi avvolgenti e fluidità ritmica. Robustezza ed indole jammistica nel secondo, più turgido e sferzante con qualche richiamo nel solismo debordante a gente come Earthless o Wu Fat.
Album strumentale di buona qualità e personalità. Il dominio delle chitarre è assoluto e ricorda le grandi coppie del passato, con un pizzico di modernità che esalta ulteriormente il sapore. Se vi piace il rock ad ampio respiro e privo di parti vocali, i
Mothers of the Land sono una ottima soluzione.
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