La passione fa anche di questi scherzi: ritrovarsi dopo quasi vent’anni per un concerto (il Bang Your Head Festival del 2004) e poi decidere di rimettersi in gioco. Questo è il caso dei Ruffians, formati sul finire del 1983 dai due chitarristi Craig Behrhorst e Chris Atchison e dal batterista Luke Bowman. Dopo gli inevitabili assestamenti, della partita ha fatto parte anche il cantante Carl Albert (poi nei Vicious Rumors e sostituito dall'altrettanto valido Rich Wilde, tuttora in formazione), i Ruffians arrivano nel 1985 al primo autointitolato EP, eppure, nonostante i buoni riscontri e la partecipazione a diverse compilations, all'inizio del 1989 finiscono per sciogliersi, perdendosi nell'oblio (beh, non quello dei loro numerosi fans) fino al già citato reunion show.
E così per arrivare al loro primo full lenght, i Ruffians hanno dovuto far trascorrere più di 20 anni dal già citato EP, ma con "Desert of Tears" non solo realizzano un ottimo album, sopratutto lo fanno senza lasciar mai trasparire la sensazione di trovarsi di fronte ad un ritorno forzato e senza nulla da dire.
Alcuni dei brani risalgono al precedente periodo d’attività e le loro radici affondano in un tipico US Power ("I Believe" e la titletrack sanno parecchio di Savatage e Metal Church) dalle marcate reminescenze del più classico Heavy Metal inglese, segnalate da diverse canzoni come "Running Blind" o "Live by the Sword" (che tira in ballo i Judas Priest) e "Chosen One" (e stavolta tocca anche ai Saxon).
Molto belle anche "Day Of The Champion" e "Will Fly", potenti e tenebrose, con un'ottima prestazione di Rich Wilde e del batterista Luke Bowman, come pure le cavalcanti ed epiche "Darkest Of Light" (grandioso il momento dell'assolo di chitarra) e "Soldier's Fate", come pure la conclusiva "Freedom", che cresce, dall'arpeggio iniziale, trasformandosi in un brano roccioso, affrontato con grinta da un convincente Wilde che qui sembra esaltarsi nel refrain.
Un buon album quindi, dove a voler essere proprio pignoli, l'unico appunto si può muovere alla copertina, anonima e con quell'ambientazione egizia di cui in campo Metal si è ormai abusato.
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