Dopo aver trattato la ristampa del debut album dei mattacchioni
Wehrmacht, eccomi qui a trattare la ristampa del secondo e ultimo album della formazione americana sempre ad opera della label olandese, ristampa anch'essa corredata di un secondo CD con numerosi extra ma del quale io sono sprovvisto come nel promo precedente.
Sono passati ben due anni dall’esordio e come dice il proverbio “Squadra che vince, non si cambia” i nostri confezionano un album pirotecnico in quanto a trovate, velocissimo, mantenendo le coordinate musicali ma curando la produzione perché rispetto al precedente è un filino migliore.
Questo ritorno uscì anch’esso per la
New Renaissance e l’amore per il biondo nettare luppoloso oltre che campeggiare come titolo è chiaro e lampante grazie anche alla copertina fumettosa.
Subito si capisce che la band ha mantenuto una coerenza di fondo perché i primi due brani “Y
ou broke my heart (So i broke your face)” e “
Gore flix” sono proiettili con riffing serrati, il basso è in prima linea ma soprattutto il singer
Tito Matos ha reso il suo cantato più velenoso mantenendo la carica hc.
Il brano “
The wehrmacht”, che vuole in un certo senso “omaggiare” il moniker che i cinque si sono scelti ha una partenza lenta, cupa e drammatica per poi con il grido del frontman deragliare in un blast beats forsennato di puro estremismo metallico; i cambi di tempo in questo brano non si contano e il solo è fulmineo prima dell’ennesimo assalto all’arma bianca.
Altro pezzo crossover che mischia abilmente thrash metal e sussulti hardcore è “
Munchies”; qui salta fuori l’humor demenziale dei nostri che aleggia per quasi tutto il platter.
Proiettile supersonico di un minuto e quarantacinque con un bel basso slappato e cambi di tempo vorticosi ma con cori da gang zuzzurellona.
Con “
Night of pain (Part I)” sembrano focalizzare meglio le strutture dato che questo è forse uno dei pezzi più lunghi; riffing d’apertura ad alta tensione per poi dopo una rullata salta fuori un “tupa tupa” serratissimo senza freni inibitori.
Il singer offre una prova sopra le righe e forsennata per stare dietro ai compari che pestano a più non posso usando anche un simil scream; sul finale partenza in quinta marcia con solos a rotta di collo.
Altro pezzo esilarante è “
Suck my dick”; brano che parte solo con la batteria per poi ecco arrivare il basso che la fa decollare velocemente in un thrashcore serrato con un chorus insistente.
Un album che è il manifesto tipico di un’epoca, dove lo spirito di
John “Bluto” Blutarsky (personaggio iconico interpretato dal compianto
John Belushi nel film del 1978 “
Animal House”) aleggia per tutto il disco; purtroppo questo è anche il loro canto del cigno perché si sciolsero poco dopo per riformarsi solo per l’Ep del 2010; grazie ragazzi, in beer we trust!
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