Tre uomini e una band, parafrasando un noto film del nostrano trio di comici.
Di questi tempi, abituati a come siamo a gruppi “allargati”, ritrovare un combo vecchio stampo alla Rush, piace, soprattutto se il risultato è quello che si sente in “Insider”.
Il secondo full-lenght di questi ragazzi di Manchester arriva a due anni di distanza dall’omonimo lavoro che li ha catapultati nel panorama rock del secondo millennio. Post rock. Sì perché “Insider” è un balzo repentino negli anni ’70 con quel pizzico di ricerca e sperimentalismo che contraddistingue il panorama musicale odierno.
Citando i diretti interessati, gli Amplifier prendono i Led Zeppelin, gli Who, i Police, i Mogwai, i Massive Attack, Bowie e Brat e li diffondono in una fumata di guitar pickups & distorsion pedals.
Già dall’opener “Gustav’s Arrival” ci si ritrova immersi in uno squarcio di Pulp Fiction i cui interminabili secondi sono scanditi dai fraseggi della chitarra di Sel Balamir. Sempre sulla cresta di quest’onda spazio-temporale, “O Fortuna” e “Insider” travolgono l’ascoltatore grazie alle ottime performance di Matt Brodin alla batteria, incessante e dirompente, e di Neil Mahony al basso.
Impossibile non lasciarsi coinvolgere dai riff di “Strange Seas Of Thought” che solleticano le dita e l’intelletto.
Citazione Pink Floyd-iana per “Procedures” con i tasti della macchina da scrivere a scandire il tempo dell’intro. Atmosfere elettroniche irrompono nella scena con “Oort” e “What is music” affiancandosi alle immancabili sonorità post rock che caratterizzano l’intero album.
“Map Of An Imaginary Place” chiude questo “imaginary trip” alla riscoperta del nostro background musicale, riproposto secondo una chiave di lettura che non sfugge agli influssi della nostra epoca.
Dodici tracce che non vanno sentite, ma ascoltate.
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