Immagina di essere uno scrittore, magari giovane e pieno di idee. A un certo punto, butti giù le prime pagine di un libro affascinante e molto promettente, ma poi la vita ti porta altrove, a scrivere altre storie, a raccontare altre vite.
Passano gli anni, e finalmente ti ritrovi ad avere il tempo di riprendere in mano quel manoscritto, ma nel frattempo è cambiato tutto: è cambiato il mondo, sono cambiati i tuoi interessi, e fondamentalmente sei cambiato TU. Ma ami troppo quella idea, la coccoli, la ampli, scrivi ancora e ancora, anche se la tua penna è diversa, anche se hai molte più frecce al tuo arco, anche se quello che scrivi oggi sarà inevitabilmente diverso da quello che hai scritto 25 anni fa... Alla fine, come ultima pennellata d'artista, decidi di pubblicare tutto così, senza amalgamare, senza uniformare. Una sorta di "Leaves of Grass", dove l'opera racconta di te, di come sei cambiato, di come magari non assomigli più a quello che eri, ma di come il tuo DNA rimanga riconoscibile a chilometri di distanza.
Questo, in buona sostanza, il 'succo' di "
The Pattern", prima fatica discografica sulla lunga distanza degli
Oceana, band italica creata da
Massimiliano Pagliuso (Novembre) insieme ad
Alessandro “Sancho” Marconcini e
Gianpaolo Caprino. Ed è proprio dalle idee di Massimiliano che prende vita un album vivo, figlio illegittimo di un EP del 1996, in cui le composizioni seguono l'ordine cronologico in cui sono state scritte, e che quindi ci permette di viaggiare nella vita di un musicista, nella sua evoluzione e maturazione, da esordi più gothic-oriented, a momenti più screamy, da suggestioni a cavallo tra Dark Tranquillity e gli stessi Novembre, a una "
A Friend" che sembra un brano dei Children of Bodom, da una suite come "
Atlantidea Suite" che è la summa degli Oceana più maturi e consapevoli, ad una cover bel-lis-si-ma di "
The Unforgiven", che i Metallica potrebbero solo ringraziare, ad un singolo, "
You don't know", fin troppo melodico e 'catchy'. Ma la forza di Massimiliano è in una voce versatile, che passa da clean a screamy (preferisco) a growly con naturalezza, e in una tecnica chitarristica che gli consentirebbe tranquillamente di shreddare dall'inizio alla fine, e che invece lui piega al servizio della canzone, regalandoci di conseguenza piccole perle di tecnica tutte da scoprire, in un volo pindarico tra doom, heavy, gothic, melodic hard rock e metal più selvaggio e sofferto...
Non vi basta? L'album è mixato da
Dan Swanö (se devo presentarvelo, siete sulla recensione sbagliata), e la copertina è semplicemente bellissima, opera di un 'certo'
Travis Smith. Con l'aggiunta di
Francesco Bucci (Stormlord, ScreaMachine) alla line-up, la band ha completato la quadratura del cerchio, e merita di combattere per un posto alla luce del sole. Concedete una possibilità ad un album controverso, multiforme, liquido, e scoprirete che, ogni tanto, uscire da una definizione può permettere di scoprire nuovi universi sonori.
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