Dietro ad un’enigmatica copertina si cela il debutto discografico del gruppo ligure
Julia And The Roofers, ma prima di parlare del disco qui in oggetto facciamo un piccolo recap per capire meglio chi si cela dietro a questo progetto musicale.
Julia (all’anagrafe
Giulia Moladori) è dal 2010 che bazzica gli ambienti rock della sua regione tra band locali ed una tribute band dei
Led Zeppelin che le ha permesso di fare una certa gavetta e nel 2018 dopo l’incontro con
Peso e
Ranza nasce questo gruppo con la volontà di proporre cover in chiave acustica e con l’uso di strumenti inusuali come il sitar.
Con la pandemia e il conseguente lockdown secondo i nostri era giunto il momento di pubblicare un disco di inediti: nelle intenzioni
"The Will Of Evil" vorrebbe essere un rock sporcato dal grunge e dal riot girrrl ma l’intento ci sembra riuscito a metà.
Partiamo dal dire subito che quando il trio va su quel rock grezzo e sgraziato la mente vola a band come le
Babes In Toyland (chi se le ricorda?) riuscendo a convincere con pezzi come l’opener
"River" che gioca molto con le distorsioni,
"Summer (Seems so Easy)" che a parere di chi vi scrive è il pezzo migliore del lavoro grazie al sitar e all’esuberante voce di
Julia piena di grinta o
"Dawn In The Next" che sa unire il vigore del rock con quel flavour tipico della Seattle anni ’90. Il resto della scaletta va su lidi più introspettivi e più articolati non riuscendo sempre a convincere, con una sovrabbondanza di parti melodiche non sempre riuscite e poco incisive.
"Sound Of Evil" con la spigliata voce di Julia che dimostra di essere una cantante dotata di gran carattere e carisma, l'assolo dell'ospite
Pier Gonella e le armonizzazioni vocali è l'altro bijoux di questo lavoro che dal vivo può diventare un cavallo di battaglia del trio e pure il lento
"Gardens" con la parte acustica finale si fa notare.
Il resto ha delle idee interessanti ma mai sviluppate a pieno: il drumming caratteristico di
Peso si fa sempre riconoscere seppur sia meno coraggioso rispetto a determinati album con la sua band madre (
"Draculea" e
"Phylogenesis" su tutti), ma alla chitarra di
Ranza sarebbe stato opportuno darle più spazio e corpo, come anche l’uso del sitar e delle percussioni che è appena accennato e quindi aggiungono poco.
Alla fine dopo questi quaranta minuti di musica abbiamo sensazioni contrastanti: da una parte abbiamo un lavoro con idee appena abbozzate che trasformano alcuni brani in veri e propri riempitivi, d’altro canto invece abbiamo
Giulia Moladori che è una cantante spigliata e personale, abbiamo una serie di riffs e assoli ispirati ma relegati in un angolino con sezioni melodiche e strutture poco interessanti.
Un esordio un po’ confuso nel quale il trio rimane in un limbo a metà tra il grunge/riot girrrl e le velleità acustiche con le quali era iniziato questo progetto: rimandati alla prossima prova in studio che speriamo possa arrivare perché sarebbe un gran peccato se una voce del genere (che è a conti fatti il valore aggiunto di questo gruppo) non venisse sfruttata meglio in futuro, magari osando di più…
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