Analogamente a parecchi colleghi della
Gloria (e a molti nostri lettori …) la mia formazione di
rockofilo, anche per questioni squisitamente anagrafiche, è profondamente radicata negli anni ottanta, e il ritorno in auge delle sonorità tipiche di quel periodo aureo non può che essere accolto in maniera favorevole.
Non nascondo, però, di provare un pizzico di nostalgia anche per i
nineties, da molti osteggiati e per quanto mi riguarda vissuti come un momento di grande fervore, in cui la “novità” sembrava essere all’ordine del giorno, andando a rivitalizzare una “scena” ormai inflazionata e logora al limite dell’implosione.
Oggi sappiamo che non era tutto oro quello che luccicava in quei giorni (e lo stesso sta succedendo al
revival ottantiano …), ma tra i gruppi meritevoli di notevole attenzione si segnalano sicuramente i Saigon Kick, artefici di una sorprendente contaminazione tra
metal,
hard-rock,
new-wave e stratificate melodie Beatles-
iane, da catalogare, anche per talune affinità espressive, accanto a Jane’s Addiction, Warrior Soul e Kings’X tra i migliori rappresentanti della “nuova era” del
rock duro.
Jason Bieler di quella “new thing” floridiana è stato il co-fondatore (assieme a
Matt Kramer) e ritrovarlo ora supportato da una pletora di prestigiosi amici e collaboratori favorisce un’opportunità d’ascolto ricca di curiosità e interesse.
Dietro la singolare denominazione
The Baron Von Bielski Orchestra si “nascondono”, infatti, tra gli altri,
Todd LaTorre (Queensryche, qui impegnato alla batteria),
Dave Ellefson (Megadeth),
Devin Townsend,
Pat Badger (Extreme),
Bumblefoot (Sons of Apollo),
Clint Lowery (Sevendust),
Benji Webbe (Skindred),
Kyle Sanders (Hellyeah) e
Jeff Scott Soto (nel
curriculum di
Bieler c’è anche un
tour con i Talisman), e il risultato è, come prevedibile, un vorticoso miscuglio di stili, non a caso intitolato “
Songs for the apocalypse”.
Chi ha apprezzato i Saigon Kick troverà nell’opera inevitabili similitudini nell’approccio ad una sostanza musicale ipnotica, capace di combinare
groove densi e aggressivi con la psichedelia dei
sixties, per un effetto complessivo piuttosto estraniante, vaporoso e inquieto, a cui forse manca qualcosa in fatto di tensione emotiva per colpire a fondo gli appassionati del genere.
“
Apology”, “
Bring out your dead”, la nervosa “
Annalise” e “
Stones will fly” (che sembra una specie di fusione tra Yes, Supertramp e Alice In Chains) sono ottimi esempi di mutevole magnetismo sonico, che diventa ancora più intenso quando tocca a “
Down in a hole”, “
Anthem for losers”, “
Born of the sun” e all’irresistibile fascinazione “circolare” di "
Alone in the world” conquistare il proscenio.
Il resto lo fanno brevi interludi prevalentemente strumentali, che raccordano con buongusto e adeguata “follia” i tanti brani intriganti di un programma che alla fine ostenta rari momenti interlocutori (il tribalismo artificioso di “
Beyond hope”, la plateale “
Crab claw Dan” e le digressioni vagamente
brit-pop di “
Very fine people”).
“
Songs for the apocalypse” è un disco policromo e coinvolgente, e mentre attendiamo ulteriori sviluppi da un artista che dimostra di non aver perso la sua innata febbrile creatività, consigliamo
Jason Bieler And The Baron Von Bielski Orchestra a tutti quelli che credono che il “crossover” sia ancora una risorsa importante per i destini del
rock n’ roll.
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?