Con
“The American Way” concludiamo la rassegna delle ristampe della
Metal Blade dedicata agli ottimi
Sacred Reich, un gruppo che all’infuori degli appassionati del genere, è sempre stato un po' ignorato.
Pubblicato in origine nel 1990, con il senno di poi sappiamo che quell’anno è stato un passaggio di consegne: da una parte il Thrash Metal (e i generi “Classic” del Metal) che avevano affilato gli artigli per quelli che furono alcuni canti del cigno per diverso tempo, dall’altra parte il nascente Grunge e la scena più “Alternative” che nel giro di pochissimi anni avrebbe mandato in crisi nera questa scena.
Con tutta una serie di ottimi o buoni lavori a darsi battaglia tra cui
"Impact is Imminent",
"Tortured Existence" e
"Souls Of Black" (senza citare quelli più noti), il secondo album in studio della band di Phoenix contribuisce in questa zampata finale del Thrash Metal all’intero mondo musicale. Lo stile e la personalità musicale del gruppo comincia a cambiare rispetto ai precedenti lavori, cominciando da un certo rallentamento nei ritmi che ora si fanno più controllati e cadenzati.
Mentre non cambia di una virgola il loro impegno politico e sociale e si continua con forza quanto fatto in passato: ritornano i testi di protesta veicolati da messaggi anti militaristi, pacifisti e anti imperialisti (che spesso fanno rima con “anti americani”) che la band ha sempre declamato con grande verve e convinzione.
Oltre ad un rallentamento generale che da un certo incupimento alle atmosfere, la produzione migliora (seppur sia giusto sottolineare che
“Ignorance” e
“Surf Nicaragua” suonino magnificamente pure oggi), le chitarre hanno un suono particolarmente corposo, il basso è bello in evidenza e la batteria è tonica. Canzoni sempre semplici, “riff centriche”, con un taglio per certi versi più moderno rispetto a prima, quasi tendenti al Groove Metal, eppure ancora ispirato e calzante:
"Love…Hate",
"State of Emergency",
"Crimes Against Humanity",
"Who's to Blame" o la punkeggiante
"I Don't Know" suonano fresche oggi come allora, dimostrando di reggere bene la prova del tempo, con una potenza ed un’energia che purtroppo manca a molte giovani leve.
Tra le otto canzoni però in fondo alla scaletta la band ha voluto a suo tempo fare un bello scherzone:
“31 Flavors” è un pezzo Funk/Rap che nulla ha a che fare con il Thrash Metal (ma pure con il Metal in generale), eppure tra linee di basso ficcanti, le trombe e tutto il contorno che danno un’atmosfera allegra e spensierata ne fanno un pezzo molto riuscito e accattivante, con tanta ironia tra le righe ed un messaggio di apertura mentale verso tutta la musica che sicuramente potrebbe lasciare spiazzate parecchie persone.
La line up di questa sorta di “cugini degli
Anthrax” è sempre la stessa dei precedenti lavori e seppur possa mancare quel pizzico di genuinità e ispirazione che c'era in precedenza, possiamo dire che la premiata ditta “
Phil/Jason/Wiley/Greg” mise a segno un altro centro.
Se non lo possedete ovviamente è da recuperare. In caso contrario potreste essere giustificati solo se provate un odio atavico per il Thrash Metal e per ciò che gli gravita attorno.
Prima di congedarmi però voglio fare un piccolo appunto su questo trittico di ristampe che sono fedeli alle originali e fatte molto bene tranne però per un piccolo dettaglio nel quale la
Metal Blade è inciampata: i miseri libriccini delle versioni cd che contengono i testi sono stati veramente fatti al minimo sindacale, con due paginette nelle quali essi sono stati stipati malamente. Immagino che le versioni in vinile non avranno lo stesso difetto per ovvie ragione e ciò non ha minimamente influenzato i voti, però è un appunto che mi sembrava giusto fare. Inoltre sarebbe stato apprezzabile avere qualche foto e immagine d'archivio.
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