25 anni di onorata carriera, per i rockers svedesi
The Quill. Sembra ieri che mi conquistavano con il trittico "The Quill" (1995), "Silver haze" (1999) e "Voodoo caravan" (2002), tre portentosi esempi di grande retrò-rock seventies a livello di gente come Spiritual Beggars e Abramis Brama. Quello è stato il periodo di maggior fortuna per la band scandinava, che però non ha mai realmente "sfondato" in fatto di popolarità internazionale. Il loro stile iniziale, marcatamente vintage con una pennellata stoner, li ha di fatto collocati nella realtà underground degli estimatori di modelli settantiani attualizzati all'epoca contemporanea. Successivamente la band ha apportato qualche modifica al proprio sound, vedi lavori come "Hooray! It's a deathtrip" (2003) o "Tiger blood" (2013), inserendo qualche influenza più stoner o alternative, senza mai ottenere un successo clamoroso a livello commerciale ma mantenendo alto il livello di qualità e conservando il proprio bacino di utenza.
Inoltre il gruppo fondato a Kalmar ha vissuto anche periodi di cambiamento interno, culminati con l'abbandono prima del bassista
Roger Nilsson (presente anche negli Spiritual Beggars e nei Firebird) e poi dello storico cantante
Magnus Ekwall (una delle voci più brillanti del settore), sostituito dal bravo ma di impostazione diversa Magnus Arnar.
Nel 2016 la formazione è finalmente tornata quella originale (
Ekwall, Carlsson, Nilsson, Atlagic) e l'anno successivo ha pubblicato l'acclamato "Born from fire", che ha visto un deciso ritorno alle sonorità degli esordi ma con una maggiore esperienza maturata nel tempo. Album fresco, energico, eccellente sotto ogni aspetto. Che adesso il quartetto cerca di replicare con il nuovo "
Earthrise".
Subito in partenza due brani davvero ficcanti ("
Hallucinate", "
Keep on moving"), episodi che fondono splendidamente energia ed orecchiabilità insieme ad una valenza strumentale e vocale indiscutibile. Molto hard-rock, molto diretti, compattezza epidermica e ritornelli immediati, due brani che un rocker non si stancherebbe mai di ascoltare. In più c'è quel sottile retrogusto fumoso che ritroviamo in gente come Sahg, Vintage Caravan, Kadavar, ecc, con l'aggiunta della voce di
Ekwall brillante come non mai.
Poi i
The Quill si concedono agli altri elementi del proprio spettro sonoro: ad esempio in "
Dwarf planet" partono con dolcezza rarefatta per passare poi ad una rocciosa cavalcata quasi stoner-Sabbathiana di grande intensità heavy, mentre in "
Left brain blues" piazzano un colpo al bersaglio grosso con un mega-groove alla Dozer/Lowrider. Possenti e bombastici, ma anche dannatamente catchy.
Anche la title-track viaggia spedita su grintose linee sospese tra hard rock classico e modernità stoner, con un bel ritornello rallentato e gli svolazzi della lead di
Carlsson, invece la lunga "
Evil omen" recupera gli elementi più progressivi e romantici del sound, con evidenti richiami all'epoca d'oro di Led Zeppelin e Black Sabbath. Uno sviluppo corposo ed elegante, come i
The Quill hanno sempre saputo interpretare magnificamente.
Quando hai una ritmica di grandi veterani, un bravo chitarrista ed un cantante molto dotato, non è difficile far brillare episodi di puro rock settantiano come "
21st century sky" o la più lisergica ed avvolgente "
The zone". Ciascun componente della band contribuisce ad aggiungere le sfumature che distinguono i brani ordinari da quelli con una marcia superiore e questo album mantiene un livello alto dall'inizio alla fine.
Ritorno in grande spolvero per una formazione che meriterebbe molta più attenzione di quella che ha ottenuto finora. I
The Quill sono tra i migliori rappresentanti dell'hard-stoner o, se preferite, dell'hard-rock contemporaneo ed il presente "
Earthrise" è un serio candidato alla mia top-ten di fine anno.