Dalla Cina, per la precisione nella regione autonoma della Mongolia Interna, arrivano i
Nine Treasures, peculiare combo Folk Metal stanziatosi nella Repubblica Popolare Cinese.
I nostri magari sconosciuti ai più, hanno già costruito una discreta carriera che conta ormai tre album in studio, un live album e pure un’esibizione al prestigioso
Wacken nel 2013 e giungono in questo scapestrato 2021 con il loro quarto lavoro in studio.
Vi avviso già,
"Awakening From Dukkha" è il classico album che o si ama o si odia: la proposta così fortemente singolare e personale farà sicuramente storcere il naso a molti, come invece incontrerà e sazierà la curiosità degli ascoltatori più open mind e a avvezzi alle sonorità etniche. Quindi se siete tra quelli che a suo tempo gridarono allo scandalo per la svolta tribale/indigena dei
Sepultura con l'epocale
"Roots" (
QUI la nostra recensione), non perdete altro tempo e dirigetevi su altri dischi perché qui non troverete pane per i vostri denti.
Per tutti quelli che sono rimasti invece possiamo proseguire dicendo subito che qui, per nostra (e loro) grande fortuna, non abbiamo una band che copia più o meno bene le sonorità occidentali, ma un gruppo che ama il Metal e lo fa in qualche modo “proprio” rivestendolo delle sonorità tipiche dell’area geografica di provenienza, quindi anche se siete amanti del Folk Metal di stampo europeo non è automaticamente detto che qui troverete pane per i vostri denti.
In questo lavoro però i nostri amici dagli occhi a mandorla non fanno un album di inediti, bensì con l’attuale line up si sono divertiti a risuonare e riregistrare una serie di canzoni presenti nei loro precedenti lavori, operazione questa tentata un discreto numero di volte, a volte con successo come fatto ormai vent’anni fa dai
Testament (
QUI la recensione dell’ottimo
"First Strike Still Deadly"), altre con goffi e inutili capitomboli come nel caso dei
Manowar (
QUI la recensione del rifacimento di
"Battle Hymns", mentre sul rifacimento di
"Kings Of Metal" preferisco lasciarlo nell’oblio…).
Manca la novità e l’effetto sorpresa delle precedenti release, ma ciò è compensato da un rifacimento maniacale delle canzoni che grazie ad una registrazione professionale e di alto livello, sono ancora più efficaci che in passato e riescono a far risplendere le affascinanti melodie che le scale musicali di quella regione, insieme all’uso intenso della strumentazione tipica e alle liriche in lingua natia, emanano in tutto questo splendore.
Quasi tutte le canzoni presenti hanno un’andatura spigliata e decisa, con riff Metal che inseguono le melodie fatte dal morin khuur e dalla balalaika, strutture che non si allontanano mai dalla tipica forma-canzone del Rock, piccole parti acustiche e durate concise. A parte un paio di lenti un po’ insipidi e ad una strumentale sempre particolarmente affascinante, abbiamo una serie di canzoni ritmate e festanti.
In cuor mio spero che presto arrivi la consacrazione definitiva dei
Nine Treasures, perché in un mondo musicale sempre più finto, innocuo, poco personale e volto quasi più a guardare al gossip che non alla musica loro sono realmente autentici, credono in quello che fanno e queste canzoni lo dimostrano chiaramente: personalità propria, orgoglio per la cultura d’origine, energia e fascinazioni orientali sono gli ingredienti che formano questo puzzle. Ed in un mondo dominato da cloni fatti male e con nessuna personalità come
Sabaton,
Arch Enemy, piuttosto che da
Powerworlf o altri ciò è da premiare.
Nella speranza che qualcuno si prendi la briga di stamparne una versione fisica, godiamoci la versione digitale di
"Awakening from Dukkha": sicuramente non vi lascerà indifferenti!
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