Potrei cominciare questa recensione con una serie di frasi fatte del tipo
“la montagna ha partorito un topolino”,
“non tutte le ciambelle riescono col buco” o simili. Ma preferisco citare un collega che, per descrivere l’allora ultima fatica discografica dei Blind Guardian
“A Night At The Opera” (che io - lo ammetto - apprezzai e apprezzo tutt’oggi), si limitò a definirlo
“un sublime arrangiamento del nulla”.
Senza voler raggiungere lo stesso livello di
acidità, mi limito a dire che
“Heart Healer”, prima metal opera del “quasi sempre” infallibile
Magnus Karlsson, non convince per una serie di motivi. Tralasciando che, sicuramente, la formula in sé ha un po’ stufato (fate voi i conti di quanti anni sono passati dai primi successi di Arjen Lucassen o di Tobias Sammet), molta della
magia degli esperimenti più riusciti in tal senso risiede innanzitutto in composizioni solide, linee vocali vincenti e, in parte, in cast stellari.
Qui mancano
tutte queste cose. Gli arrangiamenti sono ricercati e cinematografici, ma molte delle tracce sono deboli e poco fluide (a cominciare dall’iniziale
“Awake”), con introduzioni epiche che spesso sfociano nel nulla (penso alla successiva
“Come Out Of The Shadows”). Le cantanti (sì, sono tutte signorine, indubbiamente talentuose ma di certo non arcinote) fanno del loro meglio, costrette ad acuti inarrivabili che, per quanto mi riguarda, lasciano il tempo che trovano (il caso più evidente è l’attacco di
“This Is Not The End”, ma anche qui gli esempi non mancano).
Peccato.
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