Dovendo scegliere un album di congiunzione tra il monto metal e l’ambiente pop rock che sta vivendo attimi di fulgido splendore, il lavoro dei finnici Sara Lee sarebbe l’ideale.
Leggere sonorità gothic intrecciate ad un impianto di base assolutamente orecchiabile, ottimo per il circuito radiofonico, con tanto di liriche fischiettabili e accattivanti: cosa chiedere di più per sfondare nel mercato musicale dei nostri (malati) giorni?
La sete (moderata, ovviamente) di adrenalina è ampiamente soddisfatta da brani come l’opener “Everytime”, “Black & Hollow” e “Destination Unknown” in cui si alternano strofe delicate e di ampio respiro a ritornelli più graffianti accompagnati da riff gradevoli e tastiere scampanellanti.
Ballad a profusione per sanare gli animi di chi non ha saputo resistere alle chitarre distorte: impossibile non farsi catturare da “Falling Star”, “Cries a River” (un titolo un perché) e dall’arpeggio iniziale di “I Like Dreamers”.
Una vena di ironia in questo panorama filo-commerciale sembra d’obbligo, a fronte soprattutto di quello che siamo costretti a sopportare, day by day, per colpa dei cannibali della musica d’autore.
E visto che, volenti o nolenti, dobbiamo sottometterci al volere della maggioranza, lanciamo un appello: care Major, attenzione ai Sara Lee!
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