Riecco i
Drakkar:
Eh però...come sono lontani i tempi di Quest For Glory (1998) o Gemini (2000)....
Eh però...il power metal di fine anni ’90 era un'altra cosa...
Eh però...non ci sono più le mezze stagioni...
Eh però....si stava meglio quando si stava peggio...
Ok, avete afferrato il concetto: i soliti luoghi comuni insomma che, per carità, spesso si rivelano tutto sommato anche veritieri ma talvolta, sono assolutamente privi di fondamento nella realtà che ci circonda, e sono semplicemente il frutto, almeno musicalmente parlando, di una sorta di malcontento interiore, che ti porta a ricordare con malinconia quei dischi che hanno segnato i tuoi 20 anni, un’epoca felice e spensierata, ulteriormente enfatizzata da certe sonorità che sapevano toccare le corde della tua anima e che in quei momenti ti facevano sentire il Re del mondo!
Perché questa premessa?
Poiché ritengo sia importante, quando si analizza il nuovo album di una band cosi longeva come i
Drakkar, attiva dal lontano 1995, e autrice di alcune “perle” del genere, come quelle elencate nell’intro dei luoghi comuni (forse passate colpevolmente inosservate in quegli anni), cercare di contestualizzare ogni singolo lavoro nel periodo in cui è stato scritto e regalato a noi poveri comuni mortali.
Ma veniamo a
Chaos Lord, la nuova fatica discografica della band, capitanata sempre dal bravissimo chitarrista, unico membro originale rimasto,
Dario Beretta (già nei Crimson Dawn), a cui si affiancano
Marco Rusconi (anche lui nei Crimson Dawn) all’altra chitarra, il “fedele”
Davide Dell’Orto alla voce, mentre la sezione ritmica rispetto al precedente album è stata rinnovata ed è composta dalla coppia formata da
Simone Pesenti Gritti al basso e
Daniele Ferru (già nei Myriad Lights, tra gli altri...) alla batteria, le parti di tastiera invece sono state curate da
Emanuele Laghi (sempre Crimson Dawn).
Iniziamo subito col dire che, per quanto anche l’ascoltatore più maligno possa mettersi d’impegno, cercando di trovare difetti ed elevando all’ennesima potenza i precedenti luoghi comuni con l’unico intento di smontare la bellezza di questo disco, fallirà miseramente nella sua impresa!
Chaos Lord infatti è un disco veramente bello (l’ennesimo nella discografia della band, andatevi a leggere le altre recensioni), con una produzione eccellente (se non erro è stato prodotto agli Elnor Studio di Mattia Stancioiu, altra vecchia conoscenza del power nostrano) e dotato, elemento non banale nel panorama musicale odierno, di una genuinità in fase di song-writing, che si può apprezzare in ogni singola nota e che forse, ai giorni nostri, visto il risultato finale, potrebbe, sotto certi aspetti, lasciare spiazzati.
Ma entriamo nel dettaglio: il sipario di
Chaos Lord si alza con la classica intro sinfonica intitolata
The Dreaming City, in cui l’ascoltatore viene introdotto delicatamente all’interno del mondo dei
Drakkar, per poi ritrovarcisi letteralmente scaraventato, dovendo destreggiarsi abilmente in mezzo alle cavalcate epiche della successiva
Lord Of A Dying Race, che rispolvera i fasti del passato, ma con maggiore vigoria. Segue una killer-song tipicamente power-oriented di tutto rispetto, come
Horns Up! che, dopo aver accumulato parecchia energia durante il cantato impeccabile di
Davide Dall'Orto, scarica poi tutta la sua tensione nel refrain “Welcome To The Show”.
Il ritmo sembra calare leggermente in occasione del giro iniziale di basso della title-track, che invece si rivela un altro azzeccatissimo brano aggressivo, dalla struttura tradizionalmente heavy, ma con una sezione ritmica basata su un’inarrestabile doppia cassa.
Il disco scorre che è un vero piacere; melodie epiche, cavalcate maestose, puntellate da riffs e assoli incisivi, come nella graffiante e disperata
Through The Horsehead Nebula, nella potente
The Battle (Death From The Depths part II) o nella celtica (almeno nel giro di chitarra)
He Will Rise Again. Non c’è un attimo di tregua comunque,
Firebird è un'altra speed-power song da paura, che in sede live (se solo ci fossero i concerti ahimè...) canteremmo tutti quanti a squarciagola, pogando come dei dannati!
Proprio quando ormai il disco sta per terminare, e la via maestra sembra ormai tracciata da tempo, arriva improvvisamente
The Pages Of My Life, brano che, nonostante una partenza decisa che sembra seguire l’andamento di tutto l’album, concede poi, in occasione del giro di basso o degli assoli, dei momenti riflessivi, quasi sognanti, che potrebbero vagamente portare alla mente atmosfere labyrinthiane, chiaramente reinterpretate da
Dario Beretta e soci, si tratta comunque dell’ennesimo grande brano, senza dubbio, la cui profondità emotiva rende il disco ancora più completo.
I titoli di coda sono affidati alla rocciosa
True To The End in cui, dopo tanto pestare, viene concessa un pò di tregua alla sezione ritmica e i nostri puntano tutto sui cori epici del refrain, in stile Domine/Rhapsody, sempre efficaci.
Prima di concludere, permettetemi una breve riflessione:
Viene da chiedersi per quale motivo, tra tutte le validissime power metal bands che il nostro “BEL paese” (almeno in ambito musicale, più specificatamente metal, LO E’, e ne siamo fieri!) ha partorito, a partire dagli anni ’90 dello scorso millennio, i
Drakkar siano probabilmente quelli che in assoluto hanno raccolto meno di quanto avrebbero meritato!
A voler ben guardare infatti, i nostri non hanno mai sbagliato un colpo e se andiamo ad analizzare la loro discografia, hanno sempre dato alla luce lavori di ottima fattura, eppure sono sempre in qualche modo rimasti nell'ombra, o se preferite, sono stati offuscati dai grandi nomi del metal italiano che, a onor del vero, anche in questa recensione sono stati menzionati.
Certo, i 10 anni di silenzio, dal 2002 al 2012, non hanno giovato, cosi come i continui cambi di line-up, che hanno tolto continuità al progetto, ma resta il fatto che la band ha sempre prodotto album veramente belli, sebbene nel tempo abbia cambiato pelle, trasformando leggermente il proprio sound, passando da un power più “spensierato”, come quello di fine anni ’90, ad uno più graffiante, come quello attuale ma, come si diceva pocanzi, ogni lavoro va contestualizzato; quella di fine millennio era un’epoca dorata e felice sotto tanti aspetti per il power in generale, soprattutto dal punto di vista della creatività, ma che non tornerà più, oggi non rimane che coltivare dischi, comunque genuini e ben fatti, sebbene diversi dal passato, come
Chaos Lord, anzi sapete che vi dico? Ce ne fossero oggi di lavori cosi belli!
Grazie
Drakkar!