Altro giro di ristampe, altra magnifica scusa per parlare di grande musica!
Dalla ottima
High Roller Records in questo 2021 arrivano le ristampe in vinile di due album "minori" dei
Manilla Road, ed in questa recensione mi accingo a trattare di quel
"The Courts of Chaos" uscito nel 1990 e che di fatto fu l'ultimo album della band del Kansas per diverso tempo.
Vero, nel '92 uscì
"The Circus Maximus" ma come i più attenti sanno quello era un progetto estraneo alla band, ma la casa discografica pensò bene di usare il prestigioso nome dei
Manilla Road per venderne qualche copia in più (cosa successa anche ad altri, come ai
Black Sabbath), ma questa è un'altra storia...
L'ottavo lavoro della band di Wychita uscì in circostanza difficili per vari motivi: intanto nonostante la qualità delle precedenti release i nostri non erano ancora riusciti ad emergere rimanendo quindi dei valorosi guerrieri dell'underground americano. Inoltre i due lavori precedenti per vari motivi non ebbero lo stesso successo dei precedenti parti discografici, in particolare
"Mystification" era penalizzato da una resa sonora non soddisfacente, oltre a problemi di promozione e distribuzione vari. Come se ciò non bastasse, la line up di lì a poco sarebbe esplosa, con
Scott Park e
Randy Foxe che non volevano trovarsi in studio nello stesso momento.
Uno scenario desolante per lo Squalo del Kansas che tentò il tutto e per tutto con questo lavoro. Ma quello che conta veramente oggi e che più interessa a voi cari lettori è sapere se questa ristampa è utile ed è stata fatta con criterio.
Parto subito dall'ultimo punto: questa ristampa è utile, sia per la scarsità di copie rimaste delle precedenti riedizioni, sia per i prezzi raggiunti dalle versioni in vinile che affiancano la versione cd della
Golden Core Records (2019). Come da tradizione dell'etichetta tedesca, la ristampa è fedelissima all'originale.
Per quanto riguarda la musica c'è tanto di cui parlare, perché questi epic metallers hanno sempre cercato di progredire e possiamo considerare questo lavoro come il canto del cigno della migliore line up dei gruppo. Le novità rispetto al passato non mancano: se gli ultimi due album erano molto Thrash/Speed oriented, qui si fa un passo indietro e si torna a sonorità meno selvagge e più melodiche. Anche i suoni e le atmosfere cambiano visto che questi solchi sono sì potenti, ma anche evocativi e plumbei. La chitarra di
Shelton ha un suono quasi ronzante, mentre dal canto suo
Randy "Thrasher" Foxe sperimenta in lungo e in largo dividendosi tra la batteria, tamburi, un uso estensivo della tastiera e di trigger che fanno "rimbalzare" le percussioni nel resto dell'amalgama sonoro. A chiudere la lista delle novità c'è anche l'inclusione di una cover,
"D.O.A." dei psych rocker texani
Bloodrock.
Queste otto canzoni donano all’ascoltatore un Epic Metal unico e fantasioso, che si ciba di nuovi elementi per aumentare il ventaglio espressivo della band: il retrogusto Thrash Metal pervade nella tortuosa
“A Touch Of Madness”, nelle poderosa
”Dig Me No Grave” e in
“From Beyond”, mentre
“The Prophecy”,
“Road To Chaos”,
“Into The Courts Of Chaos” e la lugubre
“D.O.A.” sono esaltate da quelle che forse sono le migliori prestazioni di
Foxe tra le varie percussioni e le tastiere, invece
“(Vlad) The Impaler” è il pezzo più in your face del lotto e anche il più debole.
In tutto questo la ruvida chitarra di
Shelton ci fa esplorare territori lontani, oscuri e avvolti dal mistero.
Un album profondo e ricco di nuove sfumature coraggiose che danno nuova linfa ad un genere spesso bistrattato e trattato superficialmente. Invece album ammantati da questo fascino rendono speciale l’Epic Metal. Una ristampa che ha un merito molto importante, dare la possibilità a più persone di colmare una lacuna e in cuor mio spero che possa anche conquistare qualche giovane leva.
Mi congedo con la speranza che questi quarantaquattro minuti posano anche essere una musa ispiratrice, visto che molte idee qui presente non sono state quasi più battute e quindi di colpo potrebbero svecchiare l’Epic Metal.