Vi è mai successo di mettere su un disco nuovo di zecca - quindi sconosciuto - e pensare:
“caspita, ma è proprio questo che volevo ascoltare!”? A me non è capitato con molti album (il più recente a venirmi in mente è
“Meta” dei Maraton), ma da oggi
“Witness” rientra di diritto in questa particolarissima selezione.
Già ero rimasto impressionato dal precedente
“Applause Of A Distant Crowd”, ma mai mi sarei aspettato un successore così convincente da tutti i punti di vista, dalla scrittura agli arrangiamenti, passando per le linee vocali (non c’è un ritornello che non ti si stampi in testa) e la performance maiuscola dei danesi.
Si parte in quarta con l’ottima
“Straight Lines”, brano dal rifframa dirompente che fa il paio con la successiva e
djentosa “Head Mounted Sideways”. Le sonorità moderne caratterizzano anche
“24 Light-Years”, in un crescendo dinamico che sfocia nell’inaspettata ma riuscitissima
“These Black Claws”, con il cameo del rapper Shahmen.
“Freak” è la ballad che
Steven Wilson non ha più voluto scrivere, mentre
“Napalm” spicca per la semplicità e l’efficacia del refrain. Se
“Future Bird” alterna con gusto sonorità morbide e progressive,
“Stone Leader Falling Down” torna a picchiare duro preludendo all’alternativa e orecchiabile
“Inside Your Fur”, dal sapore Nineties.
Cosa non mi piace dei
VOLA? I capelli del cantante
(invidia, ndr) e la barba del batterista, ma questi sono dettagli probabilmente trascurabili ai fini della recensione.
Per il momento, disco dell’anno.
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