E siamo giunti alla fine anche di questa serie di ristampe di questa sfortunatissima band e lo facciamo con quello che è tra i più grandi misteri del music business in campo Hard & Heavy: ovvero il mancato successo commerciale di
“Manic Frustation” che poi porterà al licenziamento dei
Trouble da parte della
Def American.
E dire che come ben sa il buon
Danzing (che fatalità tornò nel ’92 con
“Danzig III: How the Gods Kill”),
Rick Rubin è una sorta di “Re Mida della console” e quasi qualunque cosa ci metta mano poi ha successo e fortuna.
Con il quinto album non solo si torna sulle coordinate stilistiche del precedente, ottimo,
“Trouble”, ma si accentua sempre più quello stile a metà tra l’Heavy Metal potente e vigoroso tipico dei Judas Priest, all’Hard Rock sanguigno e sferragliante degli anni ’70 e la Psichedelia degli ultimi
Beatles e una volta tanto le parole semplificazione delle canzoni, sonorità radiofoniche e attenzione per la melodia non fanno rima con banalizzazione del sound e drastico calo qualitativo e anzi, portano a quello che forse
è il capolavoro della band.
Un ritorno alle sonorità anni ’70 ma attualizzate, registrate e prodotte in maniera impeccabile con le chitarre rocciose ed una batteria tonica ed in risalto che portano un potente attacco frontale all’ascoltatore e ciò porta ad avere l’album più energico del gruppo americano, con una produzione decisamente azzeccata allo stile qui intrapreso con forza e convinzione.
“Memory’s Garden”,
“Tragedy Man”,
“Fear”,
“The Sleeper”,
“’Scuse Me” ed il resto della tracklist è una lista di potenziali hit Hard Rock limate alla perfezione con la ballata
“Rain” e la beatlesiana
“Breathe…” (quest’ultima sarebbe piaciuta parecchio al caro vecchio
Paul McCartney, ne sono certo!) che mostrano a chiare lettere come i
Fab Four qui siano stati di grandissima importanza, influenza questa che si può udire in alcuni ritornelli e armonizzazioni vocali. Stoner sound, Psych, attitudine Rock ‘N Roll confluiscono in queste canzoni dando una bellissima ventata di freschezza ed energia all’Hard Rock.
Riascoltare oggi questo disco ci fa domandare come sia stato possibile che anche in quest’occasiona i
Trouble non sfondarono visto che le carte in regole c’erano tutte e non c’era una cosa che non fosse una che non funzionasse… poco importa: quello che conta realmente è che abbiamo un album che non è invecchiato di un solo secondo dalla data di pubblicazione e che in questo revival continuo dell’Hard Rock, delle sonorità vintage ed a dischi fatti con lo stampino,
“Manic Frustation” avrebbe molto da insegnare a molti giovani virgulti.
Poi la storia sappiamo com’è andata: da un lato i
Trouble continuarono la “psichedelizzazione” del sound con il buon
“Plastic Green Head” e dalle ceneri di quei
Truoble,
Eric Wagner (con
Danny Cavanagh) continuò con i
Lid e il loro
“In The Mushroom” per poi riformare i
Trouble e poi andarsene per i suoi
The Skull, mentre dal canto suo
Rubin due anni dopo riuscì nel miracolo di resuscitare (non solo commercialmente ma anche artisticamente)
Johnny Cash con il primo capitolo della serie
“American Recordings”, oltre al resto del suo prestigioso curriculum.
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