A tre anni di distanza dal debut album
“Riot”, tornano i
Firstbourne, quintetto statunitense che affonda le proprie radici in un heavy metal melodico con alle spalle influenze di band come Axxis, e l’Axel Rudi Pell di fine anni Novanta, torna sulle scene.
“Pick Up The Torch” è il risultato finale di 3 anni di attesa, ne sarà valsa la pena? Andiamo scoprirlo.
La formula già vista nell’album di debutto non cambia, e ci si trova di fronte a ottima musica suonata con energia, e
“Pick Up The Torch” dopo una breve intro parte spedito con
“Home”, pezzo dove un buon riff la fa da padrone, e assieme alle successive
“Truth Of The Lion” e
“Control” il concetto si rafforza, con la band che mostra subito le unghie, e dove si capisce che i ritornelli sono stati ben studiati e costruiti ad hoc. Sfido infatti a non farvi rapire dalla ottima
“Riot”, che richiama proprio le sonorità dei dischi del biondo chitarrista tedesco Pell chiamato in causa poco sopra. Purtroppo,
Ian Raposa non ha la voce potente ed energica del buon Johnny Gioieli, e nonostante non mostri un carisma eccezionale, rende ai pezzi del disco un’ottima intensità. Dovendo vedere il rovescio della medaglia però, stavolta i
Firstbourne puntano sulla lunghezza, optando per una durata vicina all’ora, al contrario del precedente
“Riot” che durava una mezz’oretta scarsa. E seppur i pezzi siano coinvolgenti, e si attestino tutti fra i 3 e i 4 minuti, dopo un po’ la stanchezza pervade l’ascolto. Ottime anche le due ballad poste al centro della tracklist,
“My Choices” e
“When Morning Breaks”, non assolutamente noiose, e che portano alla mente quel senso di vintage che si ha ascoltando band come Loudness o Dokken. Si scende un po’ verso il finale del platter, con
"Spinning Out” che passa ma non convince appieno, e
“For Now” che in generale ricorda un mix di pezzi già sentiti. Riuscitissima invece la finale
“Rising Force”, cover del maestro Yngwie Malmsteen, dove una produzione che rende le chitarre belle incisive e aggressive fa terminare il (lungo) ascolto con una sensazione generale di soddisfazione.
“Pick Up The Torch” nonostante la tremenda lunghezza, dove dieci o undici canzoni sarebbero stati largamente più digeribili, è un album dove con molta semplicità e uno stile diretto e per nulla appesantito da pause, intro, ghirigori chitarristici qua e là, renderà contenti tutti gli amanti delle sonorità melodiche, e perché no… anche quelli che prediligono un metal più massiccio, potrebbero ritrovarsi a cantare uno o più ritornelli di questo disco.
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