Ah, quanto possono essere ingannevoli le boutade pubblicitarie fatte in generale ed in questo caso specifico, nel mondo della musica?
Guardiamo all’ultimo album in studio dei
The Marigold, progetto Sludge/Post Metal attivo da parecchi anni ormai e che nel corso del tempo hanno avuto anche delle collaborazioni prestigiose.
Si parla di come questo sia l’album più “heavy” mai prodotto dalla band, come se questo elemento possa essere una vera discriminante per far pendere l’ago della bilancia in qualche modo verso della musica di qualità…
In questo caso dietro alla console i nostri si sono avvalsi della produzione di
Toshi Kasai, un nome che non dirà nulla ai più, ma che è collaboratore ventennale (!) con i
Melvins, un nome molto importante, se non addirittura fondamentale per queste sonorità.
Il sound è molto interessante e si dimena tra uno Stoner decisamente pulito nei suoni, lo Sludge e quel qualcosa di Post Metal con varie influenze che quasi mi rimandano ad una versione easy listening dei
Neurosis.
Le canzoni in generale non hanno mai durate fuori dall’ordinario, si viaggia spesso su sonorità catchy al limite del radiofonico, non che questo sia un male e anzi un pezzo come
"Lay Down" potrebbe essere un’ottima hit Alternative Rock con quell’attitudine da garage band. Le influenze dei
Melvins del periodo
“Stoner Witch” con quello Sludge imbastardito dal Grunge si fanno sentire a più riprese nel platter di questo lavoro (come nell’ottima
"The Pledge"), il basso a volte è bello ronzante (
"Goat, Goth, Gone") e l’opener è decisamente interessante con quella ripetitività mantrica che potrebbe tra le altre cose rimandare alla musica mongolo-siberiana.
Per il resto la band nostrana non riesce a variare sufficientemente la formula, con una serie di pezzi un po’ banali e simili tra di loro, con l’aggravante di essere fondamentalmente innocui.
Nonostante una meravigliosa copertina e dei suoni professionali (o paradossalmente anche per “colpa” di questi suoni così tanto, troppo perfetti e limpidi) questo album scivola via come l’acqua lasciando poco, sempre in bilico tra Sludge pesante e Grunge melodico.
Un lavoro incolore, peccato!
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