In tempi di diffuse riscoperte e ristampe varie, è sempre alquanto complicato distinguere le vere “reliquie” dalle operazioni di comodo, ma mi sa che questa volta siamo di fronte ad un recupero storico degno di notevole attenzione.
Riportare alla luce il lavoro dei
Mesheen,
band californiana
ahinoi piuttosto “intempestiva” nelle sue scelte espressive, consente, infatti, di indirizzare un sentito plauso alla
Sonic Age Records, a cui saranno grati tutti gli estimatori di un certo
hard n’ heavy statunitense, mirabilmente rappresentato da formazioni del calibro di Malice, Fifth Angel, Dokken, Q5 e Rough Cutt.
Formati dagli ex-Tyton
Bobby Tait e
Joey Scott, i nostri realizzano nel 1992 un paio di
demos che pur apprezzati dalla critica non furono sufficienti a trasformare, come spesso accade, un ruolo da potenziali “predestinati” in qualcosa di più concreto.
“
A matter of time”, registrato nel 1994 e fino ad oggi rimasto una “chicca” per esploratori dell’
US metal, conquista la doverosa visibilità grazie alla
label greca, non nuova a queste iniziative “archeologiche”.
Capitanati dall’ugola virile e aitante di
Ted Heath (una specie di fusione tra
R. J. Dio,
Ted Pilot e
Dave Meniketti), i
losangelini potevano contare su un
songwriting di pregio, capace di miscelare con cura e una certa raffinatezza grinta e melodia.
La struttura armonica (arpeggio evocativo, crescendo emotivo fino al
refrain “presa rapida”) con cui è costruito l’atto di apertura “
Fight for the peace” è quanto di più “convenzionale” si possa trovare nel genere e, ciononostante, il brano affascina senza cedimenti, al pari di quanto accade nella successiva “
Big bad city” in cui affiorano pure barlumi della nobile l’influenza degli immortali Queensryche.
“
A matter of time” accentua la componente melodica e aggiunge sinuosità
bluesy all’impasto sonico, mentre con “
I'm gonna get to you” (vagamente Kiss-
esca) e l’
anthem “
The next generation” il gruppo svela la sua attitudine spiccatamente “
hair-metal”, per poi tornare a calcare sentieri vigorosamente languidi in “
Bad reaction” e tentare, con esiti discreti, la carta della
power-ballad in “
I'm on the way”.
Giunti all’
excursus acustico “
The bigger they are (The harder they fall)”, non particolarmente riuscito, appare abbastanza chiaro che il terreno più consono alle qualità dei
Mesheen sia quello dove sono le sfavillanti e accattivanti cromature metalliche a prendere il sopravvento, impressione confermata da “
Fool for believin'” e dalla potente “
Youth-Enasia”, che chiudono il godibile programma inducendo una buona dose di coinvolgimento sensoriale.
“
A matter of time” è dunque la fotografia di una formazione valorosa, priva di una vera personalità “autoctona” e impossibilitata dalla “storia” a far evolvere il suo indubbio buongusto in soluzioni artistiche maggiormente peculiari … i “tempi” e il contesto musicale attuali sono maturi per concedere ai
Mesheen quella tardiva considerazione che meritano
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