Sono certo che gli attenti ammiratori della cosiddetta
New Wave of Swedish Progressive Rock (Anekdoten, Änglagård, Landberk, ...) già conosceranno il lavoro dei
Khadavra, da considerare tra i più importanti “eredi” di quell’eccitante e multiforme movimento artistico.
Qualora, però, come accaduto al sottoscritto, vi sia sfuggito il loro valore, ad aiutarvi nel sollecito emendamento di tale negligenza arriva la ristampa di “
Hypnagogia” ad opera della
Black Widow Records, un’etichetta il cui catalogo è garanzia di competenza e qualità.
Il secondo albo degli svedesi, pubblicato (in maniera un po’ “carbonara”, in realtà ... tanto per farci sentire meno “colpevoli” ...) in origine nel 2019, è un’
operina preziosa e coinvolgente, in cui la tradizione del genere s’impasta ad arte con alcune suggestioni dell’
alternative rock “ambientale”, in una specie di felice e obliqua convivenza tra King Crimson, Pink Floyd e Sigur Ros.
Si tratta, come è facile intuire, di una definizione non priva di gusto per l’iperbole e che comunque in qualche maniera suggerisce abbastanza efficacemente il contenuto di un disco prettamente strumentale, capace di indurre nell’ascoltatore concentrato una sorta di benevolo stato di alterazione della coscienza, evocando emozioni, sensazioni e associazioni mentali, quasi si trattasse proprio di una forma di
ipnosi.
Attraverso costruzioni musicali sempre volubili, affascinanti ed equilibrate, sostenute da una ricca strumentazione (non mancano contributi di corno francese, didgeridoo, marimba, sitar, ...), il viaggio sonoro e psichico ordito dai
Khadavra si dipana lungo scatti e avvallamenti, misticismi e paesaggi brumosi, fluttuazioni e spigolose geometrie melodiche, il tutto senza incorrere in sterili virtuosismi o tediose ostentazioni di creatività, facendo in modo che il fulcro dell’esposizione espressiva sia costantemente appoggiato sull’effetto emotivo.
Tra composizioni più stringate e lunghe e variegate dissertazioni armoniche (i quasi ventotto minuti di “
Kollektiv”), “
Hypnagogia” entra in contatto con l’inconscio, ne scruta ed esplora i meandri accostando modalità operative “antiche” e profumi “moderni”, catturando l’interesse e colpendo nel profondo.
Volendo trovare una esigua “opportunità di miglioramento”, direi che aumentare anche solo di poco la componente “cantata” (molto efficaci le combinazioni vocali che alternano l’uso della madrelingua e dell’inglese) potrebbe forse contribuire a rendere ancora più catalizzante e intelligibile l’intero immaginario musicale ... per ora accontentiamoci di un bell’esempio di lucida astrazione sensoriale, che merita la vigile attenzione di tutti gli estimatori del
rock “evoluto”.
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