Mettiamola così … vi può interessare un cantante che nella sua laringe mesce in maniera abbastanza vorticosa rimandi timbrici a
Robert Plant,
David Surkamp,
Geddy Lee,
Bob Hite (Canned Heat) e ...
Sonja Kristina?
Se la risposta è negativa, direi di passare oltre, mentre in caso contrario continuate pure a leggere le mie impressioni d’ascolto su questo “
I Know my enemies”, il secondo sorprendente
full-length dei tedeschi
Hound. Ci siete ancora? Bene ... vuol dire che avete superato lo “scoglio” di una voce sicuramente abbastanza divisiva e magari vi siete anche incuriositi grazie all’aggettivo con cui ho definito un’opera che per di più è classificabile nell’ambito del cosiddetto
retro-rock.
Parlare di “sorpresa” quando si commenta un albo devoto a questo genere è, infatti, già di per sé una notizia, eppure è con tale nitida percezione che ho accolto un disco per certi versi “imperfetto” ma davvero fascinoso, capace di combinare
hard-rock,
prog,
psichedelia,
folk,
punk e
blues in maniera parecchio peculiare e, per l’appunto, inaspettata.
Immaginate un
festival dove sono in cartellone The Godz, Led Zeppelin, Pavlov’s Dog, Jefferson Airplane, Motorhead, Amon Düül II e Jethro Tull e poi concentrate il tutto in un’unica formazione, in grado di spaziare con una certa disinvoltura tra le varie suggestioni musicali, trasmettendo sprazzi di quel “
sense of wonder” ormai piuttosto raro di questi tempi.
Come accennato in precedenza, non tutto è perfettamente amalgamato e coerente, e tuttavia passare dalle pulsazioni
hard-psych-blues di “
Sleep in thunder” (con tanto di
break in puro clima da “
freak generation”) agli obliqui fremiti invocatori di “
Head under water” provoca più di qualche scossa sensoriale, e quando l’energia
garage-punk di “
All of us” irrompe nel programma, si comprende chiaramente quanto sia ampio e variegato il bagaglio espressivo degli
Hound.
Si continua con “
Fortune”, con le sue cangianti spirali
hard-funky-prog, per poi venire improvvisamente immersi nell’inquieto clima bucolico di “
Loyalty”, sfociante nella vivace ballata
blues-rock “
I smell blood” (con qualcosa dei REM nell’impasto sonico) e nel fraseggio incalzante e avvolgente di “
Primetime”, un altro esempio di
vintage non banale.
“
Without a sound” aggredisce nuovamente i sensi tramite un approccio corrosivo e catartico, “
The abyss” è un
hard-blues dalle iridescenti rifrazioni lunari, mentre con “
The downfall” l’albo esaurisce il suo programma conducendo l’astante in uno scenario visionario e ipnotico, in cui ci si ritrova a fluttuare sovrastati da un cielo gravido di tensione.
“
I Know my enemies” offre agli estimatori del settore davvero “tanta carne al fuoco” e anche se la “cottura” non è forse ancora completamente uniforme e omogenea, il pasto sonoro è saziante e gustoso, speziato quanto basta per stimolare l’immaginazione.
Dopo averli elogiati per le loro attuali prerogative artistiche, non rimane dunque che attendere gli
Hound ad auspicabili evoluzioni future, facilmente pronosticabili quando l’ispirazione è a questi livelli di libertà e inventiva.
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