I norvegesi
Octohawk nascono nel 2020 per dare un seguito al precedente progetto chiamato Mammuth, che vedeva ben 4/5 dei propri membri (
David Hjellum alla batteria,
Steffen Overaa alla voce e tastiere, la coppia
Christian Schei e
Stian Svorkmo alla chitarre) impegnati in uno stoner metal che, obiettivamente in più di 10 anni di carriera, non ha mai lasciato veramente il segno (quanti di voi ne avevano mai sentito parlare?).
Dopo essersi “auto-ribattezzati” e aver reclutato il nuovo bassista
Espen Geitsund, i nostri sono entrati in studio per registrare il proprio debutto discografico con il nuovo monicker, intitolato
Animist, in cui il quintetto, almeno nelle intenzioni, cerca di ridefinire le coordinate del proprio sound, prendendo leggermente le distanze rispetto al proprio passato mammuthiano, optando per uno stile leggermente più sperimentale.
La ricerca di nuove soluzioni musicali tuttavia, riesce solo parzialmente, poichè il disco in realtà non abbandona mai del tutto la strada maestra, affondando pienamente le proprie radici nel doom-stoner più tradizionale ed obiettivamente è anche comprensibile, considerando che è ciò che riesce meglio alla band.
Animist è un lavoro caratterizzato da un sound grasso ed acido quanto basta, contornato da riffs aggressivi ed assolutamente incisivi (particolarmente evidenti in tracce quali la opener
Weather The Storm,
Iconoclast o
Skyward) e da un cantato che alterna tonalità sporche (decisamente azzeccate) ad altre più strozzate, ma talvolta il growl, sebbene sia un caposaldo indiscusso nella tradizione del metal norvegese, appare sinceramente forzato.
Le composizioni, nel complesso, presentano spunti interessanti, grazie a qualche venatura progressive e per merito di inserti melodici, per lo più indovinati, che alleggeriscono la struttura dei brani (è il caso di pezzi come
Eyes Glowing Red,
By The Root e
Reanimate) ma, a tratti, risultano eccessivamente prolisse, avventurandosi anche in sentieri particolarmente insidiosi, rappresentati da rischiosissime ritmiche ipnotiche che, se ripetute eccessivamente, finirebbero per far sembrare l’intero lavoro come un pesantissimo polpettone, assai difficile da digerire!
Per fortuna ciò non avviene, o meglio, anche quando sta per verificarsi, si tratta di una sensazione effimera, un pensiero fugace, che inevitabilmente può sfiorare l’ascoltatore, ma non è ciò che rimane dopo aver ascoltato interamente il disco. Va infatti dato merito alla bravura degli
Octohawk , che, dal punto di vista qualitativo, riescono sempre, anche nei momenti più deboli dell'intero album, a mantenerlo vivo, evitando che cada nella monotonia, ma tenendolo sempre a galla.
In conclusione,
Animist non è certamente un lavoro che passerà alla storia, ma si rivela comunque sufficientemente piacevole, non è privo di debolezze, ma nello stesso tempo non scade mai nella vera e propria mediocrità, grazie alla scelta ponderata di soluzioni interessanti che vengono adottate e che lasciano intravedere tutte le potenzialità di una band che, indubbiamente ha ancora parecchio lavoro da fare per crescere, ma è altresì dotata di ampi margini di miglioramento.
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