Ascolti “
26 East: Volume 2” ed è inevitabile chiedersi chi oggi è in grado di sostituire artisti del calibro di
Dennis DeYoung. Lascio la risposta, piuttosto sconsolante per quanto mi riguarda, al lettore appassionato, che sono certo come il sottoscritto attendeva con ansia questo secondo volume dell’opera che purtroppo segna l’abbandono della discografia inedita del mitico fondatore degli Styx.
Una vera sciagura, dacché
DeYoung, superati i settant’anni, dimostra che il suo talento di
vocalist e
songwriter non è stato minimamente scalfito dal tempo e che ancora oggi appare un riferimento nell’ambito del
pomp /
pop rock.
The Beatles, Yes e Queen, così influenti nella formazione musicale di moltissimi musicisti, nelle mani del nostro assumono un’eleganza e una tensione espressiva “speciale”, anche laddove un pizzico di eccesso “dolciastro” sembra farsi strada tra le note.
La complicità di un altro venerabile del settore,
Jim Peterik (ma segnaliamo anche l’apporto di
Mike Aquino, chitarrista dal ricco ed encomiabile
curriculum) è ovviamente, come già accaduto in “
26 East: Volume 1”, molto importante, e contribuisce a rendere l’albo un’altra deliziosa raccolta di raffinatezza, melodramma e sentimenti transcodificati in suoni, appassionanti sin dall’atto d’apertura, una “
Hello goodbye”, sofisticata e disinvolta celebrazione di Beach Boys, Kinks e, soprattutto, The Beatles.
“Land of the living” aggiunge grinta e ulteriore
verve al programma e a testimoniare il valore transgenerazionale di
DeYoung arriva “
The last guitar hero”, epico frammento sonico a cui
Tom Morello (Rage Against The Machine, Audioslave, ...) concede un funambolico
solo.
Il
mood riflessivo e languido di “
Your saving grace” tocca nel profondo e se vi piacciono i Supertramp amerete alla follia “
Proof of heaven” (già apprezzata in “
Winds of change” di Jim Peterik & World Stage), aristocratico ed evocativo esercizio di lussureggianti armonizzazioni sonore.
In “
Made for each other” è invece l’approccio “teatrale" dei Queen a prendere il sopravvento, mentre “
There’s no turning back time” è semplicemente una magistrale “
piece of grandeur”, degna della storia di questo favoloso artista.
Dopo la gradevole e vaporosa “
St. Quarantine” (intrigante il
break blues n’ gospel) e la sfarzosa
“Little did we know”, sono un’estasiata ballata, “
Always time”, e la gemma
pomp “
The isle of misanthrope” a conquistare una scena su cui il sipario cala con la leggendaria “
Grand finale” (dal capolavoro “
The grand illusion”), di fronte al quale le uniche sensazioni possibili sono incanto, riconoscenza e rammarico per un commiato che vorremmo venisse al più presto smentito, come del resto è spesso accaduto nel grande carrozzone del
rock n’ roll … in caso contrario, “
26 East: Volume 2” è un certamente bel modo per
Dennis DeYoung di salutare i suoi tanti
fans.
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