Copertina discutibile (in 3D) ma disco terremotante. Terzo album degli svedesi
Domkraft, nome di punta del roster della
Magnetic Eye Records, dei quali avevo parlato lo scorso anno nell'ambito della serie di uscite live "Day of doom".
Questo nuovo "
Seeds" è una mazzata heavy doom come poche altre. Eccheggia qualcosa dei primi Mastodon, ma il sound è forse ancora più metallico, tagliente, drammatico, mentre l'atmosfera è talmente tetra ed opprimente da diventare ansiogena. Ieraticità apocalittica che accompagna ed avvolge l'incedere doom poderoso, con grevi pennellate post-metal e improvvise situazioni ai limiti della psichedelia sludge. Un disco pesante, stordente, difficile da assimilare, ma dotato di un fascino da incubo notturno.
Sei brani medio-lunghi più un breve intermezzo strumentale ("
Krank bleket") che ci trasportano entro scenari gravidi di sofferenza e disperazione, con il canto di
Martin Wegeland costantemente urlato e parossistico che si staglia su costruzioni heavy telluriche dai confini quasi industriali.
Monumentale l'incedere grezzo e martellante di "
Seeds", che sembra un mix tra Sleep e Neurosis per la tensione ipnagogica e l'atmosfera torbida e granulosa. Pezzo di notevole fattura, sia per l'architettura dei riff metallici che per le impennate post metal dal gusto acre e tagliente.
La seguente "
Perpetuator" ha un taglio più ribassato e cavernoso ai limiti dello sludge. Un brano dai toni angoscianti, doomy, massicci e implacabili, ma con alcune vibrazioni heavy-psichedeliche che alleggeriscono il tonnellaggio da pesi massimi. Decisamente i
Domkraft sono progrediti, maturati, grazie alla contaminazione della originaria materia doom con una pesantissima e ferale inoculazione di metal nero come la pece.
Altri episodi riprendono le antiche tematiche Mastodoniane con l'applicazione di elementi noise caotici e stordenti (la massacrante "
Into orbit" e la narcotica ed allucinatoria "
Tremors"), sempre elaborati in maniera riconoscibile pur restando nella direzione di una grevità soffocante.
Più tambureggiante (con l'ottimo lavoro alle pelli di
Anders Dahlgren) e cadenzata "
Dawn of man", un gorgo metallico implacabile che possiede la delicatezza di una pressa da acciaieria, mentre la conclusiva "
Audiodrome" è una top-song da massacro post-doom che si abbatte con la ferocia di un assalto barbarico. Lungo percorso che alterna picchi ultra-sludge isterici e bombastici con passaggi più ragionati alla Pallbearer, con una scioltezza interpretativa da band che ha raggiunto una piena consapevolezza dei propri mezzi artistici.
Un lavoro sopra la media, dalla potenza evocativa impressionante. Tutt'altro che leggero e facilmente digeribile, ma eccellente scelta per gli sludgers e gli heavy-doomers che amano le sensazioni forti. I
Domkraft da questo momento vanno considerati come una delle più brillanti realtà in questo difficile ambito stilistico.
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