E’ sempre un piacere rivedere all’opera il nostro “Timone” (come lo chiama affettuosamente il Graz), all’anagrafe
Timo Tolkki, ex indimenticabile storico chitarrista dei gloriosi Stratovarius che negli anni ’90 scrissero una pagina indelebile nella storia del power metal europeo.
A distanza di 2 anni dal discreto Return To Eden (2019),
Timo torna nuovamente in pista con il nuovo capitolo dei suoi
Timo Tolkki’s Avalon, intitolato
The Enigma Birth, un disco che, prima di addentrarci nell’analisi dettagliata del lavoro, colpisce immediatamente perché, come fu per il suo predecessore, ancora una volta, “parla” molto italiano!
Difatti la line-up prevede, oltre al guitar hero finlandese, i nostri connazionali
Andrea Arcangeli (DGM, Noveria, Ark Ascent ecc...) al basso,
Antonio Agate (ex Secret Sphere e Odd Dimension) alle tastiere e
Marco Lazzarini (Secret Sphere, Archon Angel) alla batteria, mentre alla voce, come d’abitudine, si alternano diversi artisti, tra cui spiccano senza alcun dubbio i nomi di
James Labrie (Dream Theater),
Brittney Hayes (Unleash The Archers),
Jake E (Dreamland, Cyhra) ed il nostro onnipresente
Fabio Lione (Angra, ex-Rhapsody, ex Vision Divine ecc...), a cui bisogna aggiungere, in alcune tracce, nelle vesti di special guest, un altro talento tricolore alla chitarra, ovvero il grandissimo
Aldo Lonobile (Secret Sphere, Death SS e Sweet Oblivion).
Ma parliamo dell’album: come di consueto, anche in quest’ultimo lavoro
Tolkki, con la classe e la maestria che l’hanno sempre contraddistinto, è alla costante ricerca di un perfetto equilibrio, tra l’energia del power e la raffinatezza delle linee melodiche, e molto spesso, in
The Enigma Birth, è il primo aspetto a prendere il sopravvento, grazie alla sezione ritmica tirata e alla chitarra di
Timo, particolarmente aggressiva e tagliente negli assoli ed in alcuni fraseggi sempre di ottima fattura, come avviene nel caso della convincente opener
Enigma Birth, in cui, a fare la differenza, è soprattutto la prestazione del vocalist
PelleK (ex-Orion’s Reign e Damnation Angels), della maideniana (non foss’altro che il singer
Raphael Mendes tenta di emulare a tutti i costi sua maestà Bruce Dickinson)
Master Of Hell, della camaleontica
Truth o di
Beauty And War, il cui giro di tastiere richiama vagamente l’indimenticabile A Million Light Years Away di “stratovariusiana” memoria, anche se poi il pezzo segue una struttura indipendente, assumendo forme e colori assolutamente proprie, o ancora della killer-song finale, intitolata
Without Fear, in cui il nostro
Fabio Lione si rende autore di una prestazione maiuscola, sicuramente migliore rispetto a quella concessa in occasione di
Dreaming che, nonostante le ottime intenzioni, alla lunga si dimostra un brano pieno di luci ed ombre.
Il disco si fa apprezzare non solo nei pezzi più sostenuti, ma anche laddove prevalgono le azzeccatissime composizioni melodiche (e in questo, si sa,
Timo Tolkki è sempre stato un maestro), valorizzate ulteriormente dalla scelta delle voci femminili, che ne risaltano l’intensità. E’ il caso di brani quali
I Just Collapse e
Memories (interpretati magistralmente dalle vocalist
Caterina Nix e
Brittney Hayes), della malinconica
The Fire And The Sinner, oppure della buona ballad
Another Day, cantata dalla singer brasiliana
Marina La Torraca, che poi ritroveremo anche nell’affascinante
Time, pezzo dolce e velenoso al tempo stesso.
Menzione a parte per
Beautiful Lie, unico brano del disco griffato da
James Labrie, il cui sound sembra richiamare, in maniera nemmeno troppo velata, i suoi ultimi lavori solisti e quindi accordatura bassa (del resto il singer canadese non ha più l’estensione dei tempi d’oro), suoni moderni, riffs molto diretti, quasi meccanici, melodie di facile presa ma soprattutto, duole ammetterlo, molto poco cuore (e lo dico con rammarico, da vecchio fan dei Dream Theater quale sono stato in passato, almeno fino al 2003!)
Nel complesso,
The Enigma Birth si rivela, cosi come era stato il suo predecessore, un disco molto valido ed ispirato, un lavoro che, in un certo senso, va anche oltre le più rosee aspettative; stupisce (positivamente) soprattutto il fatto che, nei suoi
Timo Tolkki’s Avalon, il mastermind finlandese, riesca sempre a trovare quella freschezza in fase di composizione e quella continuità che sono sempre mancate negli altri suoi altri progetti paralleli post-Strato (basterebbe citare i “Revolution Renaissance“ o i “Symfonia” oppure ancora, ricordate gli “Infinite Visions”? Tramontati prima ancora di vedere la luce!).
Sia chiaro,
Tolkki nella sua enorme carriera, ha scritto indubbiamente delle pagine migliori, rendendosi autore di capitoli che rimarranno indelebili nel libro del power metal di matrice europea, tuttavia ha anche toccato più volte il fondo (non solo a livello musicale), per cui ascoltare dischi di qualità, come gli ultimi due dei
Timo Tolkki’s Avalon, è davvero un piacere e fa ben sperare per le sorti future del musicista, ma soprattutto dell’uomo, a cui molti di noi sono e saranno per sempre legati, grazie alle emozioni che in passato a saputo regalarci.