Chi ha bisogno dell’ennesimo disco di
hard-rock “classico”? Quanti sono disposti ad accogliere benevolmente un'altra celebrazione del mito rappresentato da Led Zeppelin, Deep Purple, Rainbow e Whitesnake?
Una domanda “epocale”, inevitabile quando si affronta un disco degli
Heaven & Earth di
Stuart Smith, dal 2001 impegnati a sostenere con merito l’idea che un tributo alla leggenda del
rock possa essere qualcosa di più che onorare un debito di riconoscenza.
Dal momento che “
l'azione è nemica del pensiero”, come affermava Aristotele (ehm, in realtà la mia citazione è dovuta alla splendida
Nicole Kidman de "
La macchia umana",
film che ho appena rivisto con molto piacere …), scaccio ogni eventuale riflessione
filosofica e passo subito all’ascolto di “
V”, scoprendo, ancora una volta, che la
band è assolutamente credibile nella restaurazione di un suono immortale, di certo tutt’altro che imprevedibile e tuttavia in grado di garantire un’adeguata dose di emozione e diletto.
Per noi italiani forse la novità più importante dell’opera è l’ingresso in
line-up del
singer Gianluca Petralia, capace con il suo timbro roco e virile di non far rimpiangere il predecessore
Joe Retta (mentre, per molte ragioni, anche “affettive”, la “sfida” con
Kelly Keeling, voce di “
Windows to the world” è un po’ più complicata …) e integrarsi piuttosto bene con una formazione “cosmopolita” di notevole spessore, pilotata con la consueta sicurezza da un chitarrista che fornisce nuovamente un’idea chiara del suo efficace percorso di apprendimento
Blackmore-iano.
In questo modo, tra
déjà-vu più o meno vividi, ma mai particolarmente fastidiosi, capita che dalla scaletta affiorino una possente “
Drive”, le vibranti cadenze di marca Rainbow/Whitesnake concesse a “
Beautiful”, la melodia adescante di “
Nothing to me”, una bella “rilettura” di “
Rainbow in the dark” denominata “
One in a million men” o addirittura un singolare “esperimento” di contaminazione tra Kingdom Come e Muse intitolato “
Never dream of dying”.
All’elenco degli pezzi degni di nota si aggiungono poi, a breve distanza, il
blues-accio “
Little black dress”, l’Alcatrazz-
esca “
Running from the shadows” e la ballata conclusiva "
At the end of the day”, brani che con un pizzico di maggiore focalizzazione avrebbero potuto ottenere risultati pienamente gratificanti.
Se bramate ancora, nonostante tutto, queste sonorità “garantite”, irrorate di una buona razione d’ispirazione, “
V” è un lavoro parecchio competente che conferma gli
Heaven & Earth tra i più affidabili interpreti del settore.
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