Quarto LP per gli ucraini
Jinjer, quasi due anni dopo la pubblicazione di
Macro e dieci mesi dopo il live
Alive in Melbourne, report di uno degli ultimi concerti metal sul globo terracqueo prima del lungo periodo di stop causato dalla pandemia.
Il lungo periodo di “
riposo obbligatorio” (e per loro non può che essere stato così, visto che sono abituati da sempre a tour non stop in giro per il mondo) ha concesso alla band più tempo del solito da dedicare alla scrittura e alla registrazione di questo nuovo “
Wallflowers”. E c’è sempre da aspettarsi qualcosa dai nuovi lavori di questa band, vera e propria stella nascente della scena progressive-metalcore mondiale.
La prima impressione che si ha ascoltando questo complesso, articolato, feroce ma al contempo intimo album, può essere riassunta con due parole: Identità ed evoluzione.
Identità, perché si riescono a riconoscere tutti gli elementi che caratterizzano la loro musica: le ipnotiche ma al contempo devastanti poliritmie della batteria di
Vlad; i riff di chitarra di
Roman che si sposano meravigliosamente con le roboanti e mai scontate, armonicamente parlando, bass lines di
Eugene, creanti una solidissima base sulla quale la voce aliena della
Shmailyuk riesce, come suo solito, a passare con sovrumana naturalezza da melodie celestiali ad uno extreme singing così feroce, profondo e sconvolgente che non può lasciare indifferenti.
Basti ascoltare la title track
Wallflowers e
Vortex (che insieme a
Mediator sono stati i primi tre singoli che hanno anticipato la pubblicazione del disco, coi relativi videoclip, già con centinaia di migliaia di visualizzazioni).
Evoluzione. Su questo secondo termine vorrei spendere qualche parola in più. Album dopo album il sound della band ha visto un’evoluzione non indifferente. Oltre alle già note e conclamate qualità tecniche del gruppo, raffinatesi in maniera evidente volta per volta, si intravede nella direzione presa dalla band una propensione verso un orizzonte nuovo, inedito, forse anche per loro stessi.
E questo non può che essere un bene vista la loro capacità di reinventarsi rimanendo fedeli a se' stessi. Per dirla in breve: dove vogliono andare a parare?
In passato, in più di un'occasione, hanno avuto le carte in mano per poter fare il salto finale per stabilirsi al centro della scena mondiale (pezzi molto catchy, nonostante l’heaviness che sempre li caratterizza, come
Outlander; le fortunate e mai banali incursioni reggae di
Who is gonna be the one e di
Judgment & Punishment…
Pisces - con le sue cinquanta milioni e passa di visualizzazioni).
No. I Jinjer procedono per la loro strada, cercando di reinterpretare a modo loro il concetto di extreme/progressive metal, non ripetendosi e tirando dal proprio intimo tutta la forza, la rabbia, il sentimento, per poter offrire una esperienza musicale, che ti piaccia oppure no, non ti lascia indifferente.
Un’ultima parola deve essere spesa per le liriche.
Anche questa volta, come era avvenuto per Macro, la Shmailyuk vomita addosso agli ascoltatori, senza filtri o giri di parole, tutti i suoi dissidi interiori, le paure, quelli che sono i limiti di una società sempre più egoistica e solipsistica. In poche parole: le urla di un’anima fragile che si nasconde nel suo guscio protettivo, che vorrebbe uscire ma che il mondo intorno a lei, visto così com’è oggi, non lo rende possibile.
Volutamente non procedo ad una valutazione track by track perché l’esperienza di Wallflowers va vissuta tutta d'un fiato.
Passato, presente e futuro, sia di questa band, sia dell’extreme metal in generale, in questo disco si fondono perfettamente.