A volte (la frequenza dipende da mille fattori, si può andare da 'raramente' a 'spesso') si verificano casi in cui vieni a conoscenza di un disco, se non proprio di una band, di cui ignoravi completamente l'esistenza fino al momento prima; premi play, ti si sgranano gli occhi, ti si sloga la mascella e pensi: "
Ma dove ho vissuto? Non è che questi li conoscevano tutti e io ero l'unico fesso?".
Potere meraviglioso delle recensioni (per chi ancora le legge) e soprattutto delle segnalazioni, ossia di quell'opera meritoria compiuta da alcuni (la quantità dipende da mille fattori, si può andare da 'pochi' a 'tantissimi') membri di una community che assolvono ad uno dei compiti (forse) più scontati e al tempo stesso più nobili, quello cioè di portare qualcosa - tipicamente musica, nel nostro caso - all'attenzione degli altri.
Questo è esattamente quanto è successo a me con gli
Slauter Xstroyes e con
Winter Kill; un utente (che brutto termine: arbitro, chiedo il cambio con 'amico') del nostro glorioso forum scova da chissà quale meandro questa gemma sepolta - che torna alla luce grazie ad una ristampa in poche centinaia di copie targata Cult Metal Classics - io butto lì un primo ascolto, quasi distratto, sulla fiducia e pochissime settimane dopo eccomi qui a raccontarvi il resto.
Le informazioni raccolte sui nostri parlano di Chicago come città di provenienza, del 1981 come anno di fondazione, di un cursus honorum - più volte interrotto e ripreso - che nel giro di 40 anni ha portato alla pubblicazione di un demo (nel 1983), due full-lenght (uno dei quali è proprio Winter Kill, nel 1985, mentre il secondo risale al 1998) e di uno split in epoca decisamente più recente (2018), di una line-up che ha assistito a svariati avvicendamenti.
Se state leggendo cose che già conoscete alla perfezione bon, torniamo all'inizio e concludiamo serenamente che sono (ero) l'unico fesso; se invece anche tra di voi c'è chi brancola nel buio, sappiate che ci troviamo al cospetto di un tesoro nascosto fin troppo bene (tipo di quelli che il pirata seppellisce in una buca profonda su un'isola dispersa in pieno oceano, infila la mappa in una bottiglia di vetro che affida alle onde e questa vaga per decenni nei mari prima di finire in mano a qualcuno che non la getta via ipotizzando uno scherzo ma ci crede e parte alla ricerca), che merita di essere (ri)scoperto in modo che chiunque voglia ne possa godere.
Le coordinate musicali sono riferibili, grosso modo, ad un power americano declinato in chiave technical, dato che la proposta è decisamente più articolata e meno "dritta" rispetto ai più noti mostri sacri del genere, ma ve le indico solo per tracciare una rotta di massima, perché credo che la cosa migliore sia - come sempre - ascoltare e farvi una vostra idea; le vocals risultano sostanziose pur collocandosi su un range mediamente alto (ma non sono così spinte da risultare indigeste), il riffing è tanto definito ed incisivo quanto cangiante, le linee di basso - piacevolmente poste in rilievo dalla produzione - non si limitano ad accompagnare ma disegnano trame, il drumming fantasioso risulta estremamente funzionale a sostenere un approccio quasi progressivo.
Ulteriore elemento da rimarcare, e qui parlo nello specifico della suddetta ristampa ad opera della SonicAge Records, di cui sono in possesso, è il booklet davvero molto curato, ricco di foto d'epoca e comprendente un'intervista piuttosto utile per conoscere meglio i nostri, per quanto risalente a oltre 20 anni fa.
In definitiva ci troviamo al cospetto di uno di quei casi in cui si può legittimamente ricorrere a concetti - talvolta abusati - quali cult band e underground.
Uno di quei casi in cui scopri qualcosa e da un lato resti stupefatto ad ascoltare (e a rendere grazie all'amico e alla sua segnalazione) e dall'altro ti chiedi chissà quanta altra musica eccellente non ha mai visto la luce (o l'ha vista per troppo poco tempo, finendo per essere prima accantonata e poi dimenticata in un qualche antro oscuro) e tu non lo saprai mai.
Uno di quei casi in cui, ad impreziosire il tutto, puoi rivendicare il sottile piacere della scoperta e dirti davanti allo specchio (a voce bassa però): "
Non ne avrò mai la certezza, ma penso proprio di essere tra i pochi eletti. Che figata!".
Non cambierai le sorti di quel disco e di quel gruppo, ma vuoi mettere la soddisfazione personale?
Recensione a cura di
diego