Nel corso degli anni i
Dark Moor hanno dato alle stampe ben sei studio albums, mantenendo standard qualitativi più che discreti, che non sono stati raggiunti solo dall'acerbo esordio "Shadowland" (1999) ed in parte dal più recente "Beyond the Sea" (2005). Un problema questo che non ha minimamente toccato il nuovo "Tarot", che si affianca di diritto alle uscite più brillanti del gruppo spagnolo, che sono, senza dubbio, "The Hall of the Olden Dreams" (2003) e "Dark Moor" (2003).
Imperterriti e sereni, nonostante i continui scossoni subiti a livello di line-up, i Dark Moor, sempre guidati dal chitarrista Enrik Garcia, ci offrono un Power Metal sinfonico e neoclassico che ancora oggi deve molto ai Rhapsody ma anche ai Kamelot, tirati subito in causa da "The Chariot".
Alfred Romero non ha mai fatto rimpiangere la precedente cantante (in formazione dal debutto sino al MCD "Between Light and Darkness") Elisa C. Martin, e qui si rende autore di una performance d’altissimo livello, come la sentita interpretazione di "Lovers", dove riecheggia il miglior Roy Khan, o quella ancor più versatile di "Devil in the Tower", ottimi risultati che può condividere con l'ospite Manda Ophuis (vocalist dei Nemesea), che gli si affianca in diversi frangenti.
Melodie, arrangiamenti orchestrali, enfasi, doppia cassa a tutto spiano, ma anche intensità ed aggressività (vedasi "Death"), sono gli attributi che caratterizzano le undici canzoni dell'album, brani che prendono il proprio titolo da alcune delle figure riprodotte sulle carte dei Tarocchi, il concept su cui si snoda l’intero disco.
I Dark Moor non solo piazzano qualche accenno di growling qua e la, e se talvolta optano per un guitarwork maideniano come avviene su "The Star" e sulla bonus track "The Fool", riescono pure a giostrare con i cori a cappella della schizoide "Devil in the Tower", brano riuscitissimo dove in alcuni passaggi ricordano i nostri Highlord, ma sopratutto danno grande spazio alla musica classica, una devozione che risulta evidente sulla lunga suite "The Moon", che innanzitutto "omaggia" l'estro compositivo di Beethoven.
I Dark Moor riescono pertanto a dare dinamismo e personalità a sonorità ormai ben note agli appassionati del genere, che non faticheranno a trovare motivi di soddisfazione da questo album.
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