Quarto album per la doom band newyorkese guidata da
Sal Abruscato. Formazione che si è guadagnata un buon seguito di critica e pubblico, nell'ambito stilistico più classico del genere.
Non è un mistero che il sound proposto fin dal debutto "And hell will follow me" (2011) si ispiri a numi tutelari come gli onnipresenti Black Sabbath ma soprattutto alle derivazioni gothic di Type 0 Negative e Life of Agony (dove
[I] Sal[/I] ha a lungo militato come batterista). Il mood decadente, sconfortato, depressivo, promosso dai
APHND è il medesimo che permeava lavori come "Bloody kisses" o "Ugly", con la differenza di qualche maggiore concessione alle vibrazioni hard e post-grunge. I loro brani si dipanano lenti e sofferti, dove l'atmosfera è gravida di amarezza e l'immaginario è quello di un pianeta in rovina popolato da una umanità ormai destinata all'oblio.
Questo "
Infernum in Terra" (titolo davvero coerente) non fa eccezione rispetto alle produzioni precedenti. Se vogliamo trovare qualche anelito di novità, possiamo notare il picco grungy dell'iniziale "
Believe in something (you are lost)" che ricorda alla lontana una "Black hole sun" per il suo feeling agrodolce e drammatico. Il tiro potente e gli assoli finali rendono questo episodio il più roccioso e trascinante scritto dalla band americana.
Già dalla seguente "
Cast out from the sky" si torna comunque verso tematiche goth-doom e passo funereo. La voce di
Sal è indubbiamente piacevole, molto malinconica e suadente, la struttura sonora è precisa, limpida, ben delineata. Il bilanciamento tra approccio melodico e substrato oscuro è sapiente ed esperto, manca però quel tocco di emotività che fa la differenza. Questa è la costante che attraversa l'intero lavoro, anche perchè i pezzi proposti sono abbastanza simili tra loro.
Certo ci sono buoni momenti, vedi l'orecchiabilità dark di "
Shards of glass" (canzone di ottima eleganza riflessiva), le cadenze Sabbathiane in "
Two headed snake" che richiamano il doom più ortodosso o ancora l'abissale disperazione esistenziale che emana dalla cimiteriale "
Reflections of the dead" (pezzo alla Solitude Aeturnus, per intenderci), ma in generale il disco pur nella sua accuratezza appare un pò troppo didattico e canonico.
Quella dei
A Pale Horse Named Death è una buona prova, matura e competente, ma nel complesso questa formazione continua a lasciarmi freddino. Mi sembra uno studente che si impegna a fondo per giungere ai livelli dei propri maestri, ma non ha ancora trovato il vero salto di qualità. Comunque, per gli appassionati di doom-gothic è un nome da tenere in debita considerazione.
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