Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2021
Durata:54 min.
Etichetta:Long Branch Records

Tracklist

  1. INFERNUM
  2. BELIEVE IN SOMETHING (YOU ARE LOST)
  3. CAST OUT FROM THE SKY
  4. SHARDS OF GLASS
  5. LUCIFER'S SUN
  6. IT IS DONE
  7. TWO HEADED SNAKE (PROPOFOL DREAMS)
  8. SLAVE TO THE MASTER
  9. DEVIL'S DEED
  10. REFLECTIONS OF THE DEAD
  11. SOULS IN THE ABYSS

Line up

  • Sal Abruscato: vocals, guitars
  • Eddie Heedles: guitars
  • Joe Taylor: guitars
  • Oddie McLaughlin: bass
  • Chris Hamilton: drums

Voto medio utenti

Puntuali come le tasse, a due anni di distanza dal discusso “When The World Becomes Undone” e dall’inutilissimo “Uncovered”, torna la band di Sal Abruscato, gli A Pale Horse Named Death.
Il gruppo all’epoca dell’esordio seppe colmare in parte il drammatico split dei Type 0 Negative, con uno stile che si rifaceva prepotentemente alla band madre di Abruscato, ma al tempo stesso fondeva ciò con le melodie e le armonizzazioni tipiche del Grunge cupo e maledetto degli Alice in Chains con il fantasma del compianto Layne Staley. Uno stile derivativo certo, ma fuso con sensibilità e gusto.

Passati gli anni e gli album oggi ci apprestiamo a parlare del quarto album in studio di questi doomsters americani e purtroppo mi viene da dire che i tempi del buon esordio sono lontani.
Certo, a guardare il bicchiere mezzo pieno viene da dire che pure la dèbacle di “Lay My Soul To Waste” o del già citato “Uncovered” sono un brutto ricordo, questo però non toglie che “Infernum in Terra” sia un album sì interessante, molto ben suonato e ben registrato, ma pure incostante e con molte idee riciclate.

Lo stile degli A Pale Horse Named Death come detto poc’anzi, nonostante ormai manchi di freschezza e di personalità, è un trait d’union più o meno riuscita tra i AiC e T0N: riffing cupo e minimale, ritmi pachidermici, assoli smaccatamente sabbathiani, grande attenzione alle melodie che nei ritornelli hanno un retrogusto Alternative discretamente radio friendly, con la timbrica di Sal Abruscato che soffre della sindrome di “Mikael Åkerfeldt ai tempi di Heritage”: il cantante/chitarrista ha sicuramente una bella voce, un timbro che sa essere caldo, affabile e armonioso, ma al tempo stesso è terribilmente monocorde e incolore, con quasi nessuna variazione vocale, mantenendosi sempre sullo stesso range. Questi punti unito ad una tripletta di strumentali che potevano benissimo essere scartate e ad una scarsa fantasia nel songwriting con strutture spesso e volentieri ripetute, tolgono longevità a questo lavoro.

In canzoni come “Lucifer's Sun” troviamo la classe, l'esperienza e l’abilità di questi musicisti, peccato che questi fattori determinanti escano solo a tratti nel corso della tracklist, una tracklist si dignitosa, ma non esaltante.
Una cinquantina di minuti apprezzabili specialmente da parte dei fans del gruppo o per chi vive quasi esclusivamente a pane e Doom, per tutti gli altri invece il Doom Metal ha saputo offrire proposte più personali e convincenti nel corso di questo 2021.

Recensione a cura di Seba Dall

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