Qualcuno (pochi, mi sa …) si ricorderà di
Neil Merryweather (alias
Robert Neilson Lillie) nelle vesti di collaboratore e co-produttore del primo disco di
Lita Ford (“
Out for blood”, 1983), ma la carriera di questo stralunato artista canadese è stata corposa e poliedrica come la sua personalità.
Infatuato da fantascienza e fumetti, nel 1974 il nostro pubblica questo “
Space rangers” un albo da catalogare sotto la voce “strano e affascinante” (“
Strange and beautiful”, per dirla alla maniera dei Crimson Glory …), intriso di
space,
pomp e
hard-rock, trattati in maniera assolutamente peculiare e “stravagante”.
Probabilmente anche grazie agli effetti “lisergici” della scena californiana in cui
Merryweather operava, il risultato trasuda di un senso di “libertà” espressiva davvero intenso, ispirato da creatività e da un approccio trascendente e tuttavia sempre attento a mantenere una certa concretezza compositiva.
Capita, così, che in “
Hollywood boulevard” si assista a un sorprendente tentativo di sintesi tra Angel e Mahogany Rush e in “
Step in the right direction” il clima diventi ancora più vaporoso e liquido, con il cantato di
Neil che assume addirittura barlumi
Jonathan Davis-eschi (!), supportato nell’occasione da irretenti voci femminili.
Con il basso pulsante e le dissertazioni
psych di “
Eight miles high” (
remake dei Byrds), staccarsi dal suolo anche oltre le famose “8 miglia” citate nel titolo, sarà a questo punto piuttosto facile, allo stesso modo con cui la melodia arcana ed eterea di “
King of mars” trasporta l’astante nella corte di un sovrano marziano ieratico e visionario.
Funky e
hard-rock incrociano le lame nella maggiormente canonica “
Neon man”, mentre alla trasfigurata
cover di Donovan “
Sunshine superman” è affidato il compito perlustrare nuovamente i grandi spazi aperti, questa volta supportati da un falsetto camaleontico e da un clima sonico straniante.
L’afflato epico che alimenta “
Road to hades” potrebbe piacere pure agli estimatori di Warlord e Virgin Steele, e dopo un’altra gradevole “pausa” di
hard-blues (cosmico) denominata “
High latitude hide 'n' seek”, il finale di programma è ancora all’insegna di una rotta verso lo spazio profondo, inaugurato dalla grintosa “
Escape” e proseguito nella lunga
jam “
Sole survivor”, una magnetica e surreale
suite dagli accenti vagamente Pink Floyd-
iani.
Il viaggio onirico, siderale e inquieto, oggi riportato alla luce dall’emerita operazione di ristampa della
Regain Records, continuerà nel successivo “
Kryptonite”, anch’esso da (ri)scoprire (e ne riparleremo …), almeno se vi ritenete
musicofili curiosi, autentici esploratori della
Storia del Rock, di quelli che non si accontentano dell’ovvio e dell’ordinario.
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